Nuova diatriba tra Parigi e Roma: Trinità dei Monti è proprietà francese

Nuova diatriba culturale tra Italia e Francia. Al centro del contendere, questa volta, è Trinità dei Monti, nota icona di Roma che affaccia sulla scalinata di piazza di Spagna.

La Corte dei Conti di Parigi punta il dito contro la gestione giudicata “approssimativa” della chiesa di Trinità dei Monti che affaccia sulla scalinata e di altri quattro luoghi di culto della Capitale, arrivando a denunciare decisioni “opache” e “derive”. Da ultimo avocandone la proprietà alla Francia.  Le accuse dei francesi riguardano le cinque chiese francesi di Roma, realtà  che accende la polemica politica.

“Manderemo esperti al Louvre per fare la ricognizione aggiornata dei beni sottratti all’Italia nel corso della storia, soprattutto quella del XIX secolo o regalati da geni forse costretti a privarsi di rinomate opere d’arte che hanno reso il Louvre il museo più visitato al mondo. Le comiche”, afferma, particolarmente  contrito,  Fabio Rampelli, vicepresidente della Camera dei deputati di Fratelli d’Italia. “La Corte dei Conti francese ha fatto la ricognizione del patrimonio immobiliare di proprietà dello Stato francese a Roma. Un elenco nel quale rientrerebbe anche Trinità dei Monti avocandone la proprietà. Viene da ridere”, aggiunge Rampelli.

Ma il patrimonio “immobiliare e spirituale” francese a Roma, che comprende 5 chiese francofone e altri 13 immobili nel centro storico, compresa Villa Medici, è amministrato dai ‘Pieux établissements de la France a Romè, istituzione posta direttamente sotto l’autorità dell’ambasciata di Francia presso la Santa Sede. L’affidamento delle cinque chiese di Roma all’istituzione francese che le gestisce è parte di accordi internazionali bilaterali tra la Francia e la Santa Sede. Questi accordi, a loro volta, derivano da una decisione presa da papa Pio VI nel 1790, che incaricò il cardinale de Bernis, ambasciatore francese presso la Santa Sede, di raggruppare tutti gli edifici religiosi a Roma e porli sotto la sua tutela.

Durante il fascismo, ai rappresentanti dell’ambasciata francese presso il Vaticano fu chiesto di riconsegnare i beni dei Pieux établissements e la Villa Medici. All’ambasciatore di Francia e al suo consigliere fu vietato di lasciare il Vaticano, dove si rifugiarono dopo il 1940 per evitare l’espulsione del corpo diplomatico, che toccò invece ai loro colleghi dell’ambasciata francese in Italia.

Il rapporto, pubblicato lo scorso 3 settembre dopo una visita a Roma dei magistrati della Corte dei Conti, analizza nel dettaglio la gestione dei ‘Pieux Etablissements de la France à Rome et à Lorette’.

Frutto di una serie di donazioni, alcune delle quali risalenti al Medioevo e istituite nel 1793 sotto il patrocinio del Cardinale de Bernis, i beni affidati all’organizzazione consistono in cinque chiese (Saint-Louis-des-Français, Saint-Yves-des-Bretons, Saint-Claude-des-Bourguignons, Saint-Nicolas-des-Lorrains e Trinité-des-Monts). Ma i Pieux Etablissements possiedono anche 13 edifici nel pieno centro storico di Roma, (tra cui Villa Medici) per un totale di 180 immobili in affitto, uffici, negozi e appartamenti con un valore di mercato stimato in 250 milioni di euro alla fine del 2010. Ogni anno generano un reddito di 4,5 milioni di euro, che viene utilizzato per il mantenimento delle chiese e della comunità religiosa di Saint-Louis e per generare surplus che, nel corso degli anni, si stima abbiano raggiunto la doppia cifra.

Ma i magistrati non si sono fermati qui. Hanno anche sollevato una questione molto spinosa, quella del futuro del complesso di Trinità dei Monti, oltre 3 ettari nel centro di Roma attualmente occupati dai religiosi della Comunità Emmanuel, in base a un accordo tra la Francia di Carlo X e Papa Leone XII risalente al 1828. Il sito ospita attualmente due scuole pubbliche, tra cui l’Istituto Sacro Cuore, che “non soddisfano più le condizioni dell’accordo diplomatico originario” e che il rapporto raccomanda di lasciare libere entro il 2026.

Un ultimo punto è quasi una dichiarazione di guerra. Il rapporto rischia di riaccendere un’antica disputa riaffermando la proprietà francese di uno dei monumenti più emblematici della capitale d’Italia: la scalinata di Piazza di Spagna, costruita all’inizio del XVIII secolo con fondi francesi e mantenuta fino alla fine del XX secolo dai Pieux Etablissements. “È necessaria una conferma del suo status giuridico”, hanno sentenziato i giudici.

Anche il ministro del Turismo Daniela Santanchè in un tweet lapidario ha messo in guardia dall’ingordigia d’Oltralpe:  Non possono fare a meno del nostro lusso, delle nostre opere, della nostra bellezza. Ma ora esagerano. Vogliono prendersi pure la scalinata di Trinità dei Monti”.

Salta dalla sedia il ricercatore storico Silvano Vinceti, presidente del Comitato nazionale per la valorizzazione dei beni storici.  “Siamo di fronte a un fatto che dire bizzarro è poca cosa. Se si accetta questa rivendicazione come una cosa seria, allora il governo italiano potrebbe rivendicare tutte le costruzioni che gli antichi Romani hanno realizzato nei secoli in diversi stati del Mediterraneo. E credo anche in Francia, pagate con soldi pubblici da parte dell’Impero Romano”, dice ironico. “Allora il governo dovrebbe svolgere un pressante richiesta per far pervenire in Italia parte delle opere selvaggiamente portate in Francia da Napoleone come bottino di guerra”.

Ma non è la prima volta che i cugini ci provano. Eppure nella conta sono in debito con l’Italia. Sono circa 248, restando alla contabilità, le opera italiane esposte al Louvre. L’ormai ex ministro della Cultura Sangiuliano ne ha fatto richiesta ufficiale. Nessun pericolo sovranista, succede tra nazioni civili. Il British Museum  in tempi non sospetti ha deciso di restituire all’Iraq tutte le opere trafugate. Gli Stati Uniti hanno restituito un cucchiaio risalente a 3000 anni fa alla Palestina e ben 77 reperti antichi allo Yemen, tra cui 64 teste scolpite e 11 pagine manoscritte del Corano.

Non tutti lo sanno, ma in origine il Louvre era vuoto e la “refurtiva italiana” si trova quasi tutta lì. Non parliamo della Gioconda trafugata (acquistata dal re di Francia direttamente dal Leonardo) ma del barone Dominique Vivant Denon, che per oltre un ventennio si occupò del “trasferimento” di opere d’arte di ogni tipo, verso quello che poi è diventato uno dei musei più visitati al mondo. È ancora avvolto nel mistero il prelevamento sotto forma di vendita fittizia alla Francia di 344 pezzi della collezione del principe Camillo Borghese, marito di Paolina. La leggenda narra del povero principe Borghese costretto a firmare sotto la minaccia di una pistola, impugnata dall’imperatore.

Certo poi ci sono italiani e italiani. La cronaca ci riporta all’accordo con Parigi siglato da Dario Franceschini, disponibile a prestare al Louvre tutti i quadri di Leonardo per la grande mostra sui 500 anni dalla sua morte. Il Louvre aveva chiesto la totalità dei dipinti del Maestro per la mostra fissata nel settembre del 2019, e l’allora ministro della Cultura aveva detto di sì per quasi tutti. Solo che «Leonardo è italiano e in Francia ci è solo morto. Lui non è Leonardò, ma Leonardo.

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