Note di Barbara Lalle su ‘Appunti di Orestea nello sfascio’, in scena fino a stasera al Teatro Brancaccino di Roma

Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, le note di Barbara Lalle su ‘Appunti per Orestea nello sfascio in scena al Teatro Brancaccino di Roma fino al 18 marzo.

Fino al 18 marzo al Teatro Brancaccino di Roma è in scena ‘Appunti per Orestea nello sfascio’ atto unico che rivisita in chiave contemporanea l’Orestea di Eschilo.

Terry Paternoster, regista e autrice del testo, presenta i suoi primi ‘appunti’ di un’Orestea, perchè effettivamente questo sono. Molto giusto il titolo, la dichiarazione nel titolo. La Paternoster sembra dichiarare implicitamente che sono appunti, è la presentazione di appunti. E come tale vanno giudicati.

‘Appunti per Orestea nello sfascio’ è stato prodotto da Officine del Teatro Italiano, in coproduzione con Florian Metateatro Centro di produzione Teatrale, con la partecipazione e il sostegno di Internoenki Teatro Incivile. Quello che vediamo è l’attuale risultato della ricerca nata in seno al laboratorio-residenza, presso il Dipartimento di Arti visive, Performative e Mediali dell’Università diBologna (DAMS), il CSS Teatro Stabile di Innovazione del Friuli Venezia Giulia, L’Università La Sapienza di Roma e l’Università dell’Aquila, strutturato in vari momenti. Questo sodalizio tra università e realtà teatrali è scaturito dalla necessità condivisa di individuare nuove correlazioni tra  tra il Mito e i suoi riflessi nell’oggi nel suo eterno reincarnarsi.

Infatti il tempo è quello del qui, una proiezione luminosa ci informa. E’ il 2018 e Oreste (Venazio Amoroso) giace in un ospedale psichiatrico giudiziario, di Santa Maria. Esiste una sezione psichiatrica nella Casa Circondariale di Santa Maria Capua a Vetere. Sarà quella… Ha perso il senno e, quando la musica che a corrente alternata gli attraversa la testa si spegne o si abbassa, parla a sé stesso e a noi in maniera disorganizzata. Un limone è con lui. Il padre, morto all’inizio, prima di dove iniziano gli Appunti stessi, appare sotto forma di frutto. Agro come la vita vissuta da Oreste.

Si torna in dietro col tempo. Di nuovo nella casa paterna. La morte del padre, un Agamennone fallito imprenditore e continuativamente infedele, è già avvenuta improvvisa, inattesa, sospetta. Non tornava da Troia, senza tappeti rossi ad aspettarlo. Tornava dalla cava sui cui le ecomafie, il cugino Don Egisto e Clitennestra stanno mettendo le mani. Muore Agamennone, nella cucina di Argo. Oreste si trova obbligato a rientrare nel nucleo d’origine dopo esserne stato allontanato per un decennio. Il dictat scopriamo essere stato impartito dalla genitrice, una madre biologica, matrigna affettiva, di bassa levatura che confinandolo in un seminario e obbligandolo a farsi prete cerca di nascondere al paese l’omosessualità del figlio che già discredito aveva portato alla famiglia. Oreste costretto a rivedere questo clan che mostruoso aveva lasciato e che ancora più deforme ritrova sotto il carico di ammanchi con banche e strozzini.

Nello decadenza, tra giochi, screzi ed offese solo la sorella, un’Elettra tossica e scapigliata (Patrizia Ciabatta), a fare da specchio ad Oreste ad accompagnarlo alla presa di coscienza dell’omicidio del padre e delle cause della rovina di tutti.

Interessante questa trasposizione del circolo vizioso della vendetta, della follia come Erinni, senza sogni da raccontare, di sversamenti tossici nelle concavità delle cave dell’anima, di giustizia in cerca di Giustizia

Ora la casa e Argo sono liberi? La cava è libera? Le atroci avventure possono essere cancellate? Le apparizioni del fantasma di Clitennestra, in fascia e giacca rossa, ci dicono di no. Si può sperare, un bambino su cui sperare c’è.

Concentrare Agamennone, Le Coefore, Le Eumenidi in un’unica vicenda, in un’ora e mezza, non è impresa semplice. Ad oggi il testo e la recitazione non sono in grado di trasferire la forza tragica della vicenda. Appunti sono degli ottimi appunti, ci si lavori sopra.

Barbara Lalle

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