Napoli si svende al miglior offerente con l’asta all’Istituto Italiano di Studi Filosofici

Il prossimo 30 ottobre si terrà la seconda vendita dell’asta ordinata dal tribunale di Napoli all’Istituto Italiano di Studi Filosofici. I debiti vanno pagati, dunque è necessario vendere una parte dell’immensa collezione libraria per restituire ai creditori quanto spetta loro. Volumi antichissimi, un pezzo di memoria culturale che sta per essere chiuso per sempre al pubblico. Una sorte vergognosa, quella dell’Istituto, esempio di una società dove la cultura, a qualsiasi livello, non conta più. Lo scorso gennaio il tribunale di Napoli ha notificato la messa all’asta di alcuni volumi antichi appartenenti all’immensa biblioteca dell’Istituto Italiano di Studi Filosofici. La vendita è finalizzata al pagamento di una piccola parte dei 13 milioni di euro di debiti che ormai da anni soffocano questa prestigiosa istituzione. Sono ormai note le vicende che hanno portato allo sfratto dell’immensa biblioteca, e all’abbandono degli oltre 300 mila volumi in tanti scatoloni in un magazzino di Casoria. E ora sedici di questi, tutti editi fra il XVI e il XIX secolo, sono all’asta per un valore materiale stimato di venticinque mila euro. Una stima monetaria minima, se confrontata con il valore culturale e storico di questi volumi. Nella lista dei libri da vendere compare un’edizione della ‘Gerusalemme liberata’ di Tasso del 1888, un volume di medicina risalente al 1686 e uno di chirurgia addirittura del Cinquecento, oltre che un’edizione degli ‘Elementi di Metafisica’, di Antonio Genovesi del 1760. Mettere opere del genere all’asta non vuol dire soltanto privare la ricerca di una risorsa fondamentale come quella della libera accessibilità ai materiali. Il destino di un libro battuto all’asta è infatti, il più delle volte, quello di finire in una collezione privata, magari estera, divenendo in questo modo difficilmente raggiungibile dagli studiosi. Mettere all’asta una parte così importante della memoria storica di un paese vuol dire rinnegarla, peggio ancora, far sì che prima o poi questa memoria venga dimenticata. Generazioni di studenti di filosofia si sono arrampicate per quella stradina che da Piazza del Plebiscito, cuore della napoletanità, porta al Palazzo Serra di Cassano, anche solo per girare fra le sale stuccate, immaginando che quel passato potesse valere qualcosa per il loro futuro. Gli studenti di domani non sapranno neanche che Napoli una volta era custode di inestimabili tesori come i libri di Giordano Bruno o di Giambattista Vico; chi invece lo ricorderà e in quelle sale ha studiato, non potrà fare a meno di sentirsi sconfitto. Nel 1993 l’Unesco riconosce a Napoli una dimensione di rinascita intellettuale che non ha pari nel mondo: ‘L’istituto organizza corsi e colloqui ovunque nell’Europa occidentale, pubblica opere in sei lingue, antiche e moderne, contribuendo a fare della sua città una vera capitale culturale’. E poi, il declino. Un declino che sembra andare di pari passo, quasi fosse la conseguenza più logica, all’avanzata di una società che dimentica pian piano se stessa perché attenta a guardare ad altro. Ai conti, al profitto, ad un tornaconto economico immediato ma spogliato di qualsiasi utilità civile. Napoli ha vantato per secoli un’autonomia intellettuale che non aveva pari nel resto del mondo, perché da Napoli sono passati Giordano Bruno, Tommaso Campanella e si è combattuto fino alla morte per una Repubblica ideale e libera nata, ironia della sorte, proprio in quei palazzi di via Monte di Dio. Ad insegnarcelo sono quegli stessi libri chiusi da anni nei depositi. Libri che hanno anche insegnato alla nostra generazione che è impensabile, inconcepibile per qualsiasi società, rifiutare l’idea di investire su questo tipo di risorse, soltanto perché il risultato non è immediatamente incassabile. Ma è un risultato che c’è, e che c’è stato. Pensate soltanto a quante persone passerebbero per Napoli con centri di studio internazionali come l’Istituto, quanti fra un convegno e l’altro si concederebbero un caffè o una visita a Palazzo Reale, per fare gli esempi più banali. E pensate a quanti nuovi studenti guarderebbero la città con la voglia di viverla attivamente, e non di fuggirla. Dal 2009 l’Istituto verte in uno stato di estrema difficoltà economica, da quando l’allora ministro dell’Economia Giulio Tremonti, convinto che ‘con la cultura non si mangia’, taglia i fondi che Carlo Azeglio Ciampi aveva deciso di stanziare per l’Istituto di Palazzo Serra di Cassano. Tranne qualche raro finanziamento privato, le attività che ruotano intorno all’immensa biblioteca vengono mantenute grazie all’impegno anche economico dello stesso Marotta. Nel 2009 si autorizza l’acquisto di alcuni locali che ospiteranno la biblioteca per una spesa di 5 milioni di euro, ma nel 2010 la nuova giunta Caldoro blocca tutto, fino al 2011, quando si dà di nuovo un via libera che non verrà mai concretizzato. Lentezze burocratiche, fondi ipotizzati e mai stanziati, tanti progetti per una nuova ed accogliente biblioteca. La storia dell’Istituto di Studi Filosofici è un susseguirsi di promesse istituzionali mai mantenute e di disinteresse totale della città. Benedetto Croce diceva che quando si rompe con la tradizione, inizia la barbarie. La barbarie inizia quando gli uomini incapaci di innalzare la civiltà, gli uomini inferiori che esistono in ogni società, prendono il potere e distruggono monumenti di bellezza, sistemi di pensieri, tutte le testimonianze del nobile passato, chiudendo scuole, disperdendo o bruciando musei e biblioteche e archivi. Di ciò gli esempi non occorre cercarli nelle storie remote, perché le offrono quelle dei giorni nostri in  abbondanza.

 

 

Circa Roberto Cristiano

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