Moavero dovrà correggere la politica gialloverde sul Venezuela

Il governo gialloverde darà comunicazioni sul Venezuela in aula al Senato martedì prossimo, 12 Febbraio, alle ore 15.30. A parlare in aula sarà il ministro degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi, che la mattina invece riferirà alla Camera. Nella stessa occasione è prevista la presentazione di risoluzioni con voto finale. Intanto, l’autoproclamato presidente venezuelano Guaido ha richiesto un incontro coi due vicepremier italiani alla luce del “complesso periodo storico” che il suo paese sta attraversando.

Con un ritardo clamoroso – per non dire imbarazzante – l’esecutivo a guida Lega-5S si accinge a dare una forma più nitida alla posizione italiana rispetto alla crisi venezuelana. La mossa della Farnesina, che pure posticipa di una settimana la presenza di Moavero in aula, arriva dopo l’indignazione espressa dai parlamentari nei giorni scorsi. “Basta tweet” tuonavano ieri i senatori a palazzo Madama “vogliamo una mozione”. Accorato l’appello della senatrice Emma Bonino:”Il governo, chiunque esso sia, venga in aula a votare una mozione per la fuoriuscita di Maduro, prima di un inutile spargimento di sangue”.

Tra una settimana sapremo effettivamente la posizione ufficiale del Bel Paese rispetto alla situazione in Venezuela, dove a fronte dell’autoproclamato presidente Juan Guaidó – riconosciuto da buona parte dei paesi europei – il presidente in carica Nicolàs Maduro continua a puntare i piedi. Intenzionato, come prevedibile, a non farsi scalzare.
Dal punto di vista italiano, è interessante constatare un fatto: le crepe e le divergenze tra le due anime del governo gialloverde in politica interna, diventano voragini quando si parla di politica estera. Mentre il dioscuri dell’esecutivo – Salvini e Di Maio – tergiversano su temi domestici come la Tav e l’autorizzazione a procedere contro il capitano leghista per il caso Diciotti, i loro partiti esprimono una visione della crisi venezuelana sostanzialmente strabica.

Sono due, principalmente, le modalità con cui Lega e M5s si approcciano al dossier Maduro vs Guaidò.

  1. Il calcolo elettorale finalizzato al consenso interno
  2. Le simpatie internazionali

Nel caso della Lega il primo elemento prevale nettamente sul secondo. Un partito che si inserisce nel network della destra sovranista europea, e che in Italia ha più volte manifestato spalla a spalla coi “fascisti del terzo millennio” di CasaPound, non può sostenere apertamente un regime comunista. La base – per quanto numericamente in crescita – non capirebbe una mossa del genere. Per questo, Salvini sconfessa Maduro, anche se questo vuol dire mettersi “contro” il suo nume tutelare seduto a Mosca. Putin, infatti, è il primo e il più potente sostenitore di Maduro contro le “ingerenze” straniere  che vorrebbero rovesciarlo.

Proprio viaggiando sulla retorica della ” non ingerenza”, invece, gli esponenti pentastellati scelgono la seconda opzione, sposando la posizione di Mosca contro l’ennesimo tentativo di golpe spalleggiato dagli americani.  Il sottosegretario agli Esteri in quota 5S Manlio Di Stefano ha fatto sapere che Roma non sosterrà “nessuna posizione di ingerenza sul Venezuela”. “Nessuno vuole una nuova Libia” sosteneva Di Stefano, lanciandosi in un parallelismo più audace che azzeccato.

La posizione pentastellata risulta controversa per almeno due motivi.

Primo, mentre si sostiene il principio della “non ingerenza”, Di Maio torna in Francia per incontrare Christophe Chalencon, leader della frangia più oltranzista dei Gilet Gialli, che scenderà in campo alle Europee di Maggio con la lista Ric (referendum d’iniziativa polare). In altre parole, un partito di governo che appoggia un movimento antigovernativo di un altro paese, comportandosi come fosse ancora all’opposizione. Con tanto di imbarazzo per il premier Conte che poi – suo malgrado – col presidente Macron deve trovarsi faccia nei consessi europei.

Secondo, anche i russi – nonostante il “MENOMALE CHE C’E’ PUTIN” firmato Dibba – si stanno muovendo per intervenire, qualora necessario, in favore di Maduro. L’agenzia stampa Reuters, che una settimana fa ha rivelato in esclusiva il possibile invio di mercenari russi in Venezuela per mettere in sicurezza Maduro, mesi fa segnalava la presenza nel paese sudamericano di due aerei di Mosca in grado ti trasportare ordigni atomici.

Insomma, sembrerebbe l’ennesimo caso in cui se l’ingerenza non è statunitense, allora non è ingerenza affatto.La Costituzione del Venezuela: argomento debole

Anche la cornice retorica scelta da Salvini – quella “costituzionale” – presenta alcune controindicazioni. “E’ la Costituzione venezuelana che lo dice – ha dichiarato il ministro a Quarta Repubblica -. Finito mandato di Maduro, dittatore rosso, entra in carica il presidente della Camera, Guaidò”.

Quello della Costituzione è un terreno scivoloso su cui viaggiare. Tanto che, nella sua operazione di esautorazione del parlamento di Caracas, lo stesso Maduro non ha tecnicamente travalicato i limiti costituzionali.

“Nello spirito della tradizione comunista, i dirigenti Psuv (Partito Socialista Unito del Venezuela) si vogliono legalisti: l’hanno stiracchiata senza mai romperla del tutto. De facto hanno esautorato il parlamento (Assemblea nazionale, An) a loro avverso, creando una parallela Costituente che mai nessuno ha davvero avvallato a livello internazionale”.

Questo è il modo in cui analizza la situazione l’ex viceministro degli Affari Esteri Mario Giro in un articolo per Limessottolineando quanto l’argomento costituzionale sia debole. In un video-messaggio “al popolo americano” – tradotto e sottotitolato in Italia solo dalla piattaforma filo-Putin Pandora TV (di Giulietto Chiesa) – lo stesso presidente Maduro si è presentato come “Presidente Constitucional de la República Bolivariana de Venezuela”.

Ma la Costituzione, per quanto ci si ostini a considerarla alla stregua di un testo rivelato e intangibile, è il frutto di un compromesso tra circuiti di interesse in un determinato frangente storico. Una sorta di testo che contiene le “regole del gioco” che determinano il modo in cui va gestito il patto sociale tra Stato e cittadini.

In Venezuela, dove Chavez prima e Maduro poi non hanno incanalato in maniera proficua le immense rendite petrolifere, la situazione economica è a dir poco drammatica. Inflazione galoppante, generi di prima necessità che iniziano a scarseggiare e instabilità sociale sono la cifra distintiva del Paese odierno. Già nel 2018, poichè le immagini valgono molto più di mille parole, giravano in rete le immagini pubblicate dalla NBC che affiancavano merci di consumo e le rispettive pile di contanti necessarie per acquistarle, a causa della svalutazione.

In tali condizioni anche il patto sociale stesso, su cui la legittimità di Maduro si basa, viene meno di fronte alle impellenti e materiali necessità del popolo.

I motivi per cui si è arrivati a questa situazione sono tanti e complessi. E questo giustifica – in parte – il tentennamento del governo italiano sulla faccenda. Se la politica estera pagasse un po’ di più in termini di consenso, probabilmente i colonnelli del governo avrebbero espresso una posizione più coerente in tempi più celeri.

Al ministro Moavero Milanesi – la “talpa” europeista voluta da Mattarella nell’esecutivo – la sfida di tentare nel giro di una settimana la difficile sintesi tra le posizioni di Lega e 5S sul Venezuela. Perchè nonostante le discussioni da bar tra esponenti dei partiti, le posizioni ufficiali di un paese sono quelle su carta bollata del ministero degli Esteri.

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