Miseria e Nobiltà: nobile miseria al Teatro Eliseo

Il 27 dicembre per la stagione del centenario del Teatro Eliseo, è andata in scena l’opera teatrale ‘Miseria e Nobiltà’ di Eduardo Scarpetta, già presentata alla stampa in una esilarante e mangereccia conferenza lo scorso 19 dicembre nel foyer dello stabile diretto da Luca Barbareschi.

Teatro Eliseo, Ente Teatro Cronaca Vesuvio e Tunnel Produzioni di Mario Esposito e Nando Mormone si sono riuniti per mettere in campo una grande produzione per la celebre commedia italiana, scritta in napoletano, di cui tutti ricordiamo la fresca e leggera trasposizione cinematografica del 1954, a colori di Mario Mattoli con Totò, Sophia Loren e Carlo Croccolo.

La regia affidata a Luciano Melchionna drammaturgo, sceneggiatore, attore, regista teatrale e cinematografico divenuto famoso al grande pubblico per il suo pluripremiato spettacolo “Dignità Autonome di Prostituzione”, si impone all’attenzione per la cifra stilistica spiccatamente soggettiva ed antinaturalistica che ci porta per qualche ora a Napoli, di certo, ma non nella Napoli del 1887, anno in cui l’opera venne scritta da Scarpetta.

Felice, Luisella, Semolone e Concetta si muovono dentro una Napoli senza tempo: ne’ in un passato oramai troppo lontano per essere comprensibile ne’ nel futuro di cui non è dato ancor sapere. Stilettate di presente attraverso riferimenti ai nuovi poveri, ai raccoglitori di pomodori da 2 euro l’ora, al lavoratori minorenni privati dell’istruzione e delle matite colorate e alla miseria dell’umanità, universale come il teatro che ci propone Melchionna.

La fame è la protagonista indiscussa, una carenza sofferente e bramosa che nonostante tutto riesce a farci ridere. È una fame simbolica e multiforme che si veste da mancanza di cibo, di sesso, di cultura, di riscatto, di vendetta e di amore, quella di cui fa esperienza lo spettatore. L’opera originariamente scritto da Scarpetta in tre atti, è stata ridotta dal regista in due. Iniziato alle 20, è finito poco prima delle 23 per un totale di recitato di 2 ore e venti: io ho fatto veramente esperienza di fame e di attesa. Sarà stato il transfert che crea l’arte drammatica? Sarà stata l’ora di cena? La colpa certa è della spaghettata che viene riproposta con un’immagine che ha qualcosa di brutale. E che ricorda come certi ricchi danno da mangiare a certi poveri, con il disprezzo e la caduta dall’alto verso il basso di certi sguardi.

Il testo rimasto invariato nella sua universalità senza attualizzazioni forzate, nel rispetto profondo dell’originale, è asciugato senza essere inaridito. Fruibile e completamente comprensibile ad un pubblico vario e non esclusivamente campano, è stato necessariamente modificato in quanto l’idioma di Scarpetta risale a quasi 150 anni fa.

Gli echi dell’attualità vengono evocati attraverso parole e riferimenti, mai rappresentati attraverso oggetti e simboli. I miei sentiti ringraziamenti al regista per non averci dato in pasto ad attori con cellulari e tablet in mano. Ne vediamo fin troppi nella vita reale di questi personaggi naturalmente caricaturali.

Nel ruolo di Concetta c’è Giorgia Trasselli che, drammaticamente affamatissima, riesce a trasmette questa sofferenza con permanente apprensione ed aggressività. Maria Bolignano dà corpo e voce alla misera Luisella, uno dei personaggi più belli del teatro napoletano a detta dell’attrice stessa. La Bolignano ama questo personaggio che già fisicamente e mimicatmente è pennellato su di lei. Infatti restituisce perfettamente la dualità animica di Luisella, drammatica prima ancora che comica. Semolone interpretato da Tonino Taiuti dà gloria al rigore registico di Melchionna, donando tridimensionalità ad un personaggio che per sua natura tenderebbe a scivolare facilmente nella macchietta. Felice Sciosciammocca è interpretato dall’attore di punta del cast, Lello Arena che insieme ad polposa compagnia di bravissimi attori, emoziona il pubblico con l’interpretazione del fedifrago padre snaturato. Con la sua imponenza e caratteristica voce ed interpretazione, fa riflettere, come in un tao, su quanto sia a volte nobile la misera e quanto sia misera la nobiltà.

Le due scene, una per ogni atto, disegnate da Roberto Crea, strutturano la narrazione idealmente in uno spazio verticale che con l’immaginazione possiamo ricomporre: la vita dei miseri e dei nobili nello stesso stabile. La discarica, residenza dei miseri, rappresenta le fondamenta del palazzo nobiliare dei ricchi in cui ci sono ratti e blatte che probabilmente alloggiano anche al di sopra, nel medesimo palazzo, camuffati. Nel momento in cui si incontrano tutti, quelli di sopra e quelli di sotto, si scoprono appartenenti alla stessa specie. Questi topi travestiti diventano costumi ideati da Milla, molto spettacolari soprattutto nel secondo atto. Giusta la scelta del bianco e nero con tutte le sfumature cangianti di grigi che spinge sullo stile, sul disegno e sull’immagine, eliminando il colore che sarebbe stato inutile disturbo visivo.

Il teatro è pieno per questa prima, applaudita calorosamente dal pubblico che sarà in scena fino al 20 Gennaio 2019. Di questo, in primis dobbiamo ringraziare Vincenzo. Vincenzo? Sì, questo è il nome del figlio dodicenne di Scarpetta per cui quest’ultimo scrisse la commedia: unicamente per farlo recitare nel ruolo di Peppiniello. Cosa che infatti fece alla prima rappresentazione.

Barbara Lalle

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