Medico di famiglia: gli orari, le nuove regole. Ora può essere reato se non viene a casa

Medico di famiglia: gli orari, le nuove regole. Ora può essere reato se non viene a casa- Il medico di famiglia (nome con cui molti in Italia identificano il medico di base) è tenuto a visitare i propri pazienti anche a domicilio. E se non lo fa, in alcuni casi, compie un vero e proprio reato.

Se infatti abitualmente l’attività medica viene svolta presso un ambulatorio dove il paziente si reca per visite e prescrizioni varie, è per legge prevista anche la richiesta di una visita domiciliare, ma ciò solo in caso l’ammalato versi in condizioni di “non trasferibilità” oppure se il suo stato di salute gli impedisca di recarsi presso lo studio.

Una formula che lascia spazio ad interpretazioni soggettive, ma a mettere un po’ d’ordine sulle varie normative è stato il portale StudioCataldi che, in un articolo, ha spiegato come regolarsi: la fonte da tenere in considerazione è rappresentata dagli accordi collettivi nazionali sottoscritti dalle rappresentanze sindacali dei medici per cui lo studio del medico di famiglia deve essere aperto 5 giorni a settimana, preferibilmente dal lunedì al venerdì, e garantire l’apertura per almeno due fasce giornaliere (pomeridiane o mattutine) a settimana e comunque con apertura il lunedì.

L’orario di apertura deve essere congruo, definito anche in base alle necessità dei pazienti iscritti nel suo elenco, idoneo a garantire una prestazione medica corretta, efficace e funzionale alla migliore assistenza dei pazienti.

Il medico è comunque obbligato a un orario di:

  • 5 ore settimanali fino a 500 assistiti;
  • 10 ore settimanali da 500 a 1000 assistiti;
  • 15 ore settimanali da 1000 e 1500 assistiti.

Si rammenta che l’orario di lavoro in ambulatorio non corrisponde alla durata dell’attività, poiché tutti i pazienti che accedono all’ambulatorio entro l’orario stabilito devono essere visitati anche oltre l’orario minimo.

Visite a casa

Le visite domiciliari vanno svolte in giornata se sono state richieste entro le 10:00 di mattina, oppure, se richieste oltre quest’orario, entro le 12:00 del giorno successivo. Poiché, normalmente, il medico non è tenuto a svolgere attività ambulatoriale il sabato, egli sarà comunque tenuto a eseguire le visite a domicilio richieste il giorno precedente o entro le 10:00 del giorno stesso. Al medico è lasciata ampia discrezionalità quanto alle modalità di organizzazione delle visite a domicilio.

Le visite domiciliari sono gratuite nei casi di urgenza e intrasferibilità del paziente. Tuttavia, laddove l’ammalato chieda di essere visitato a casa nonostante le sue condizioni non siano talmente gravi da impedirgli di muoversi, il medico è legittimato a chiedere un compenso per la prestazione.

Un assunto ribadito dalla Corte di Cassazione secondo cui la visita a domicilio non indispensabile presenta i caratteri di una visita privata che il medico può effettuare come libero professionista chiedendo un pagamento. Sono sempre a pagamento, invece, le visite ambulatoriali (15 euro) o domiciliari (25 euro) laddove ci si rivolga a un diverso medico di base.

Il rifiuto

Se il paziente versa in condizioni di salute che richiedono un intervento urgente, il medico dovrà svolgere la visita a domicilio entro il più breve tempo possibile. Tuttavia, a valutare “l’urgenza”, così come anche l’intrasferibilità del paziente, è il medico stesso sulla base della sintomatologia che gli viene descritta e di tale valutazione ne risponde personalmente.

Infatti, il problema è che la legge resta sul vago senza non definire cosa debba intendersi per “non trasferibilità”, rendendo necessaria un’analisi particolare, caso per caso, correlata anche a fattori come l’età o le condizioni di salute generale del paziente.

Tuttavia, una valutazione scorretta sulle condizioni di gravità e improrogabilità della visita domiciliare, che determini il rifiuto della visita a domicilio, può costare al medico non solo sanzioni disciplinari, ma anche una denuncia penale, precisamente quella del “rifiuto di atti ufficio”.

Basta il semplice rifiuto a far scattare il reato, indipendentemente dalle eventuali conseguenze patite dal paziente e anche se questi è ricoverato presso una struttura di cura privata. Infatti, come rammentato dalla Corte di Cassazione, nella recente sentenza n. 21631/17, “il reato di rifiuto di atti di ufficio è un reato di pericolo, onde la violazione dell’interesse tutelato dalla norma incriminatrice al corretto svolgimento della funzione pubblica ricorre ogniqualvolta venga denegato un atto non ritardabile alla luce delle esigenze prese in considerazione e protette dall’ordinamento, prescindendosi dal concreto esito della omissione e finanche dalla circostanza che il paziente non abbia corso alcun pericolo concreto per effetto della condotta omissiva”.

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