In a handout photo made available by Chigi Palace press office, Italian Interior Minister Luciana Lamorgese attends the first cabinet meeting of the new government, Rome, Italy, 05 September 2019. Premier-designate Giuseppe Conte's second government, an alliance between the anti-establishment 5-Star Movement (M5S) and the centre-left Democratic Party (PD), was sworn in Thursday and will face confidence votes in the House Monday and the Senate Tuesday. ANSA/FILIPPO ATTILI CHIGI PALACE PRESS OFFICE +++ ANSA PROVIDES ACCESS TO THIS HANDOUT PHOTO TO BE USED SOLELY TO ILLUSTRATE NEWS REPORTING OR COMMENTARY ON THE FACTS OR EVENTS DEPICTED IN THIS IMAGE; NO ARCHIVING; NO LICENSING +++

Matteo Salvini: accorpiamo voto per i referendum sulla giustizia e voto per le amministrative. Lamorgese contraria

Matteo Salvini lo ha chiesto subito: accorpiamo voto per i referendum sulla giustizia e voto per le amministrative. Un modo per arrivare più facilmente al quorum del 50% degli elettori, obiettivo senza il quale il referendum sarebbe nullo.

Ma la ministra Lamorgese si è messa subito di traverso. Il Fatto rivela che “fonti accreditate del ministero dell’Interno fanno sapere che l’orientamento è quello di non accorpare le due consultazioni. Il motivo è semplice: negli ultimi anni, per prassi, i governi hanno scelto date diverse per referendum ed elezioni proprio per evitare che una consultazione influenzi l’altra”.

Al Viminale “ricordano gli ultimi due casi: nel 2011, governo Berlusconi, i referendum per acqua pubblica, legittimo impedimento e nucleare si tennero il 12 e 13 giugno mentre per le amministrative fu scelta la data del 15 e 16 maggio; nel 2016, governo Renzi, il referendum sulle trivelle (che non raggiunse il quorum) fu anticipato di due mesi rispetto alle comunali: si celebrò il 17 aprile mentre le elezioni a Roma, Milano e Torino il 5 giugno”.

Eppure, fa notare Libero, l’election day ci farebbe risparmiare 200 milioni. Luciana Lamorgese – continua Libero – per fare uno sgarbo al suo grande nemico Matteo Salvini, starebbe pensando di boicottare la consultazione referendaria negando al leader della Lega l’accorpamento con le amministrative. Le motivazioni che starebbero dietro questa scelta sono chiare: i cinque referendum sulla giustizia per essere validi devono superare il quorum del 50% degli elettori e accorparli alle prossime amministrative potrebbe essere un bell’aiuto.

“E allora meglio far spendere 200 milioni in più agli italiani piuttosto che darla vinta alla Lega. Perché è innegabile che su questi quesiti Salvini ci ha messo parecchio del suo e allora pensano i suoi avversari – se fa una figuraccia finisce come Renzi nel 2006, quando il referendum sulla riforma costituzionale fallì costringendo l’allora premier alle dimissioni e al conseguente ridimensionamento delle sue ambizioni politiche”.

Il giorno da segnare sul calendario è domenica 12 giugno per dire sì o no ai quattro quesiti sopravvissuti al verdetto della Corte Costituzionale. Si voterebbe insieme ai ballottaggi delle amministrative. È un «election day» temperato, che non cade a fine maggio quando si svolgerebbe il primo turno delle elezioni comunali. Perché dopo e non prima? L’idea è di ridurre l’effetto trascinamento (l’astensione ai ballottaggi è più alta) e avvicinare i referendum all’estate. È un trucco.

Tutto questo serve a rendere il più difficile possibile il raggiungimento del quorum. È una partita in contropiede, dove non si gioca per far vincere i «no», ma per disinnescare il pericolo, delegittimando alla base l’azione politica referendaria. L’obiettivo finale è certificare il fallimento di Matteo Salvini, un po’ come accadde con Renzi con le riforme istituzionali. È un arrocco e serve a cristallizzare la crisi del potere giudiziario. Non conta il caos. Non importa la perdita di autorevolezza della magistratura, il messaggio è che quel mondo deve restare irriformabile. Non sarà il peso politico di un voto popolare a cambiare le cose. Il grande alleato dei «conservatori» sarà il bel tempo.

Il Pd finora è rimasto sul vago, ma si sta orientando verso il «no». La parola d’ordine potrebbe però essere il vecchio «andate al mare». Il 12 di giugno servirebbe proprio a favorire questo messaggio, scommettendo sulla spensieratezza del fine settimana di tarda primavera, sul peso di anni di pandemia, sul chi se ne frega degli intrecci tra politica e giustizia, sul «non è tempo questo di grandi scelte». È una scommessa che in passato non sempre ha portato fortuna.

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