Matteo Renzi tra Abruzzo e Leopolda: ‘Basta con Von der Leyen’

«Possiamo dare un giudizio su Ursula von der Leyen? Dobbiamo darlo. Le riforme istituzionali non sono arrivate; strizza l’occhio a Orban e ai conservatori; nella risposta ai confitti, benissimo su twitter, ma la politica non è un social; la difesa comune europea oggi non è all’ordine del giorno se non a parole. Dov’è il ruolo e la visione del’ex ministro della difesa von der Leyen? E’ sul green deal che si vede il fallimento di Ursula von der Leyen». Così Matteo Renzi chiudendo i lavori della Leopolda a Firenze. Per il leader di Italia Viva «Non deve essere confermata e se sarò eletto proporrò di votare contro perché serve una leader e non una follower dell’ideologia».

Per Matteo Renzi è proprio sul Green deal che «vediamo il fallimento di Ursula von der Leyen, perché l’ideologia non funziona. La battaglia per la decarbonizzazione è sacrosanta ma solo con l’ideologia si torna al carbone», ha spiegato ancora il leader Iv nel suo intervento conclusivo della Leopolda a Firenze. Altro aspetto quello della diplomazia: «Chi fa politica europea deve rivendicare un ruolo della diplomazia – ha aggiunto ancora Renzi – mentre per gestire il Medio Oriente hanno mandato Luigi Di Maio. Se consideri gli incarichi della diplomazia europea un dopolavoro per politici italiani trombati non c’è spazio per l’Europa. Ci candidiamo perché vogliamo portare in Europa i nostri valori e la nostra competenza».

«Massimo rispetto per il presidente del Consiglio Giorgia Meloni eletta dai suoi sostenitori e con il fondamentale aiuto di Enrico Letta. Non so fino a quando Meloni sarà presidente del Consiglio, Matteo Salvini ci ha abituato a grandi emozioni», ha detto ancora Renzi. «Ma il dato oggettivo – ha aggiunto – è che dopo 18 mesi questo paese è più arrabbiato perché chi lo governa educa alla rabbia, all’intolleranza, al vittimismo. Quando ci sono parlamentari che viaggiano con le pistole la presidente del Consiglio ha il dovere di dire qualcosa. Le istituzioni vengono prima di Meloni o dei cognati d’Italia». Renzi ne ha anche per il leader della Lega: «Salvini è quello che ha iniziato con i comunisti padani e poi è passato a Casa Pound. Salvini è quello che nel 2000 tifava contro tutte le squadre italiane, e mi ricordo le sue telecronache su Radio Padania, e ora fa gli auguri a tutti gli atleti italiani. Tra qualche anno troverete Salvini volontario su una nave di una ong».

Per le europee “Più Europa ha chiesto una lista unitaria, noi ci stiamo. Se c’è una richiesta da parte degli altri di fare un passo indietro da parte dei parlamentari in carica io ci sto, ma sia chiaro che noi da oggi siamo in partita per un risultato che serve non al nostro ego, ma all’Italia, all’Europa e al futuro dell’Europa. Se ci state noi ci siamo, altrimenti faremo da soli. Posso garantire che ci metto il mio impegno e coraggio. Se qualcuno non se la sente se ne vada”. Lo ha detto il leader Iv Matteo Renzi nel suo intervento conclusivo della Leopolda a Firenze.

La cosa che mi scoccia è che mi toccherà rivedere Calenda». Risponde Schlein: «Mah…sto campo è talmente largo che può essere pure che manco vi incrociate». Quella del vignettista Osho doveva essere una battuta ma è diventata la fotografia della realtà. I leader del campo largo hanno fatto lo slalom pur di non incrociarsi in Abruzzo, una intera campagna elettorale senza mai vedersi. Guai a farsi fotografare insieme, un comizio finale uniti neppure a parlarne.

Non solo loro due, ma tutti i leader del campo largo, troppo largo evidentemente. Per dire la scientificità: il 4 marzo Conte è in provincia di Chieti. Lo stesso giorno a Chieti c’è Carlo Calenda. Un breve incontro, visto che sostengono lo stesso candidato? Giammai. «No, facciamo giri diversi», risponde il leader di Azione a chi gli chiede. Calenda ha fatto molte tappe in Abruzzo, ma senza contatti fuori dal suo partito, ad eccezione di Luciano D’Amico, il candidato unitario di una coalizione che finge di non conoscersi. Conte ha fatto di tutto per far dimenticare di essere nella stesso campo largo con Calenda e Renzi, altrettanto disturbati dalla presenza del M5s a sostegno dello stesso candidato. «Io Renzi non lo vedo, lei lo vede? Non c’è Renzi qui e non c’è la lista di Italia Viva» ha sbottato il leader grillino con i cronisti. Peccato che Renzi ci sia eccome in Abruzzo, e il 6 marzo – due giorni dopo Conte – ci è andato di persona, a Pescara. La lista Italia Viva compare come Abruzzo Vivo nel simbolo «Riformisti e civici». Ma Conte fa finta di non saperlo.

A Schlein è bastato portare sul palco in Abruzzo Stefano Bonaccini, presidente Pd e capocorrente alternativo a Elly, per dire «uniti si vince». Uniti forse, ma senza gli alleati. Nel campo larghissimo comunque, ancora sotto sbornia da vittoria in Sardegna (per 1600 voti di scarto), credono alla remuntada. Con l’aiuto magari dell’astensione. Solo in quel caso si farebbero fotografare insieme. Forse.

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