Il 4 marzo, a quanto pare, è la domenica prescelta dal Quirinale per mandare gli italiani alle urne, data delle prossime elezioni politiche. Un paio di elementi ci dicono che la data prescelta potrebbe essere quella giusta.
Il primo è che consentirebbe, seppur di pochi giorni, di definire ‘anticipato’ lo scioglimento delle Camere, il che spianerebbe la strada verso il Parlamento ai sindaci dei centri con popolazione superiore ai 15mila abitanti, altrimenti ineleggibili se non dimissionari nei 180 giorni precedenti i comizi elettorali. Con lo scioglimento tecnicamente anticipato lo possono fare, invece, entro una settimana. I sindaci rappresentano uno dei tradizionali serbatoi cui la sinistra attinge per la selezione delle candidature, soprattutto nei collegi uninominali. In tal senso, la scelta del 4 marzo sarebbe favorevole.
Alcune friabilità del quadro politico e le tensioni in seno al Pd create dalla scissione di ‘Liberi e uguali’ di Pietro Grasso. Mattarella non vuole rischi per il governo anche perché, e qui s’annida un ulteriore elemento in favore del 4 marzo, non esclude un secondo tempo di Gentiloni nel post-elezioni.
Il percorso immaginato dal Quirinale non prevede le dimissioni dell’attuale premier. Gentilioni, infatti, si limiterà a dichiarare ‘esaurita’ la funzione del governo al capo dello Stato ma senza rassegnare le dimissioni. Un’accortezza che servirà a Mattarella di calare la carta Gentiloni qualora dalle urne non dovesse uscire un vincitore chiaro. Uno scenario, allo stato, tutt’altro che improbabile.
Eventualità possibile che è stata colta a tempo di record da Silvio Berlusconi che, nel caso, ha già elaborato una strategia possibile per un ritorno al voto entro sei mesi dal Gentiloni bis.