Maroni attacca la Lega di Salvini

“Io assolutamente non sono stato informato di niente. A Ferragosto ero a Castelvolturno e Conte non mi fece neanche mezzo colpo di telefono”. Matteo Salvini, ad Agorà su Rai3, torna così sui possibili coinvolgimenti italiani nel Russiagate  che interessa l’amministrazione Trump.

Se neanche i vicepresidenti del Consiglio non sapevano nulla di scandali internazionali veri e non – rimarca il leader della Lega – di fondi mai visti né chiesti e che non si troveranno, né il presidente del Consiglio che del resto i servizi segreti li usa come sua dependance, suoi portatori d’acqua e bevande. Spieghi Conte se qualcuno ha sbagliato e ha qualcosa da nascondere.

L’ex ministro poi, parlando del nuovo Governo, dice: ‘Evitino di parlare e di mandare gli italiani nel panico. Noi litigavamo, ma la manovra che arrivava in Parlamento poi era quella, qui si parla addirittura di misure retroattive’.

È assurdo – continua – bloccare la riduzione delle tasse per artigiani, commercianti e piccoli imprenditori, ma vediamo. Del resto, Conte, Renzi e Di Maio hanno poteri magici…

Non è tenera l’analisi dell’ex segretario della Lega Nord Roberto Maroni sulla gestione della crisi politica di questa estate fatta da l’attuale leader del Carroccio Matteo Salvini. Si è fatto fagocitare dal rito romano. Ha concesso sette giorni e sette notti a Giuseppe Conte, ma in politica in una settimana può succedere di tutto, ha affermato l’ex ministro in un colloquio con il Fatto Quotidiano.

Una volta annunciata la sfiducia al premier, secondo Maroni, Salvini avrebbe dovuto ritirare la delegazione dei ministri, così da obbligare il presidente del Consiglio a presentarsi subito dimissionario al Quirinale. Invece, ha fatto notare, ha voluto attendere la famosa seduta in Senato del 20 agosto, dando tempo al sistema di riorganizzarsi et voilà: un’altra maggioranza si era già formata.

Poi Maroni ha rincarato la dose, dicendo che per lui il Capitano ha cincischiato, temporeggiato, si è mosso lentamente e senza un piano B, fidandosi di Zingaretti e di chissà chi altri, ma in politica la situazione è cangiante per definizione. Mi ha ricordato il Bersani post voto del 2013. È stato indeciso pure sul commissario europeo: avrebbe dovuto scegliere subito, magari Luca Zaia.

Dopo il successo alle Europee, ha continuato l’ex segretario leghista, avevo consigliato a Salvini di andare all’incasso con un rimpasto di governo per prendersi Economia e Infrastrutture, per poi votare nella primavera del 2020 dopo aver portato a casa autonomia e taglio dei parlamentari. Avrebbe vinto sul velluto. E invece, non si andrà a votare prima dell’elezione del capo dello Stato. Se poi nei prossimi mesi l’esecutivo giallorosso imbrocca due o tre cose, a partire da una gestione meno emergenziale del fenomeno migratorio, il consenso della Lega potrebbe iniziare a erodersi.

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