Mafia, arrestato il fratello della vedova Schifani: il marito poliziotto morto nella strage di Capaci

Una strage che ha dilaniato l’Italia è che vive un nuovo capitolo nero. Duro da digerire.
La Dia di Palermo, nell’inchiesta che ha portato in carcere il boss Gaetano Scotto, ha arrestato anche Giuseppe Costa, 53 anni, fratello di Rosaria, la vedova di Vito Schifani, uno dei tre poliziotti morti nella strage di Capaci col magistrato Giovanni Falcone e la moglie Francesca Morvillo, il 23 maggio ’92.

Per l’accusa Giuseppe Costa è accusato di associazione mafiosa perché sarebbe affiliato alla famiglia di Vergine Maria e nella sua attività ‘malavitosa’ avrebbe tenuto per conto della cosca della la cassa, gestito le estorsioni, “convinto” con minacce le vittime – imprenditori e commercianti – a pagare la “tassa” mafiosa, assicurato alle famiglie dei mafiosi detenuti il sostentamento. Ristoranti, negozi, concessionarie di auto, imprese erano tutte nel mirino del clan: nel quartiere pagavano tutti e Costa sarebbe stato tra i collettori del pizzo. Gli inquirenti lo descrivono come pienamente inserito nelle dinamiche mafiose della “famiglia”, tanto che, alla scarcerazione del boss della zona, Gaetano Scotto, per rispetto al padrino invita le sue vittime a dare il denaro direttamente a lui. Con il passare del tempo, secondo gli inquirenti, Scotto avrebbe conquistato un ruolo di primo piano nel clan. Si parla addirittura di ruoli al vertice.
Il boss già accusato di mafia è ora parte civile nel processo sul depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio, costata la vita al giudice Paolo Borsellino. Accusato ingiustamente da falsi pentiti fu condannato all’ergastolo e poi scarcerato. Oggi siede come vittima davanti ai tre poliziotti accusati di aver depistato l’indagine. Nel blitz di oggi è stato coinvolto anche il fratello Pietro, tecnico di una società di telefonia, anche lui accusato nell’inchiesta sull’uccisione di Paolo Borsellino. Per la polizia aveva captato la chiamata con cui il magistrato comunicava alla madre che stava per andare a farle visita nella sua abitazione di via D’Amelio davanti alla quale fu piazzata l’autobomba. Pietro Scotto, condannato in primo grado, era stato poi assolto in appello.

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