Incuranti della conferma arrivata da Bruxelles dei costanti contatti con Ursula von der Leyen in vista della missione, la sinistra continua a sostenere che «non abbiamo ancora capito se Giorgia Meloni parlerà con Trump dei dossier italiani o se parlerà anche a nome dell’Europa», sostenendo che Meloni andrebbe a «prendere nuove istruzioni».
Chi parla e scrive sono nell’ordine Francesco Boccia, Nicola Fratoianni e Giuseppe Conte. Poi, Elly Schlein ha detto di augurarsi che sull’aereo di Meloni di ritorno dagli Usa «non ci sia un altro torturatore libico da riportare a casa sua».
Ma che dici, Elly?!», ha scritto il capodelegazione di FdI al Parlamento europeo, Carlo Fidanza, commentando sui propri social la sgangherata frase della segretaria dem e corredando il tutto con la faccetta dell’uomo che si mette una mano in fronte e quella che si sbellica dalle risate. Per il ministro agli Affari europei, Tommaso Foti, poi, siamo di fronte a un classico caso da «favola della volpe e l’uva». «Molto spesso alcune reazioni sono determinate più da sentimenti di invidia che da ragionamenti razionali», ha sottolineato il ministro, ospite della trasmissione di Rai Radio1 Ping Pong, parlando anche delle critiche di qualche giorno fa da parte del governo francese.
A ricordare, qualora ce ne fosse ancora bisogno, che «la visita di Giorgia Meloni da Donald Trump è parte di una strategia coordinata con la Commissione europea, che infatti l’ha apprezzata e definita strettamente allineata» è stato poi il deputato di Forza Italia e vicepresidente della Camera, Giorgio Mulè, ospite di Agorà su Rai3. «Non è un’iniziativa estemporanea, ma un’azione politica consapevole che difende gli interessi italiani all’interno di un quadro europeo e atlantico», ha aggiunto l’esponente azzurro, sottolineando inoltre che «c’è una direzione chiara, c’è compattezza, e il governo dimostra di avere piena consapevolezza del ruolo dell’Italia nello scacchiere internazionale».
Nel delicato braccio di ferro sui dazi tra Stati Uniti ed Europa, l’Italia si appresta a fare la sua parte, come emerge dalle anticipazioni di alcuni quotidiani, tra i quali Messaggero, Giornale e La Stampa.
Una missione che sarebbe sostanzialmente concordata con la Commissione europea, la premier dovrebbe concordare una linea comune con Ursula von der Leyen prima di volare negli Usa (proponendosi come mediatrice con Trump), per poi aggiornare — forse anche di persona — la presidente della Commissione una volta rientrata da Washington. Non escludendo, al ritorno da Washington, che Meloni possa fare tappa proprio a Bruxelles.
Di sicuro, Meloni è volata a Washington con il placet dell’Unione europea. E qualcuno ricorda quanto dichiarato dal commissario al Commercio dell’Unione Europea Maros Sefcovic dopo il fallimento delle trattative sui dazi e all’indomani del Liberation day annunciato dalla Casa Bianca: «Chi ha il numero di telefono di Trump, chi ha rapporti personali fra i leader, ora è meglio che li usi». E chi meglio di Giorgia?
Ora che alla Casa Bianca c’è un Donald Trump in versione più nemico che amico, gli europei si presentano agli incontri diplomatici oltreoceano come se andassero in Cina o Russia. Nella borsa da lavoro c’è il necessario per sbrigare il compito, materiale elettronico di cui poi ci si può disfare per motivi di sicurezza.
Secondo il Financial Times, è questo il bagaglio con cui i commissari Valdis Dombrovskis, Maria Luis Albuquerque e Jozef Sikela si recheranno agli incontri primaverili del Fondo monetario internazionale e della Banca mondiale la prossima settimana. E queste disposizioni, apprende Huffpost, si applicano anche al commissario Maros Sefcovic, impegnato a Washington nei primi incontri della trattativa con gli Usa sui dazi, dopo la ‘tregua’ della settimana scorsa.
La Commissione europea spiega di aver “recentemente aggiornato diverse schede informative sulle raccomandazioni di viaggio specifiche per Paese, destinate ai funzionari europei” per rispondere al “generale aumento delle minacce alla sicurezza informatica a livello globale”. Insomma, non c’è un codice di sicurezza particolare per i viaggi dei funzionari europei negli Stati Uniti, ma gli Usa fanno parte dei paesi per i quali le misure di sicurezza sono state aggiornate. “La scheda informativa per gli Stati Uniti è stata recentemente aggiornata per riflettere le ultime modifiche al modo in cui la Commissione comunica e il generale aumento delle minacce alla sicurezza informatica a livello globale”, precisa un portavoce della Commissione, specificando che tra le raccomandazioni emesse c’è anche quella di utilizzare Signal invece che Whatsapp, perché gestisce la privacy a favore dell’utente, mentre la app di messaggistica di Mark Zuckerberg, uno dei big della Silicon Valley che hanno abbracciato la fede trumpiana, lascia ancora qualche dubbio su come i dati vengano “interpretati” e riutilizzati.
C’è da dire che, pur con scarsi risultati, da tempo nelle istituzioni europee si sta cercando di comunicare con la app open source Signal. Ma la precisazione odierna si inserisce in un evidente cambiamento di clima rispetto a tutta la ‘corte’ di Trump, da parte dell’Unione Europea. Il fatto che gli Stati Uniti, il fratello maggiore della Nato, l’alleato atlantico degli ultimi 80 anni, sia finito nella lista dei paesi per i quali l’Ue ha aggiornato le sue disposizioni di sicurezza la dice lunga sullo stato dei rapporti con Washington: sfiducia e tanti sospetti.
“L’Unione europea deve venire al tavolo dei negoziati, e sta cercando di farlo. L’Ue non compra i nostri prodotti, le nostre auto”, dice Trump parlando nello studio ovale prima del bilaterale con il presidente di El Salvador Nayib Bukele. Il tycoon si definisce “persona molto flessibile”, ma, aggiunge, “non cambio idea”: dazi “è diventata la parola più bella del mio dizionario, dopo famiglia, dio, patria”. E “molto presto” ce ne saranno anche sulle importazioni di prodotti farmaceutici e sui semiconduttori: “Lo faremo, noi non produciamo più farmaci. Le compagnie sono in Irlanda e in molti altri posti, come la Cina, e tutto quello che io devo fare è mettere dazi”.
“Da un lato ci sono i negoziati. Dall’altro c’è la preparazione delle contromisure, se i negoziati non vanno bene”, ribadiscono i suoi in Commissione. Il colpo più pesante in canna è la tassa sui ricavi pubblicitari delle Big Tech in Europa, per Zuckerberg e i suoi colleghi della Silicon Valley che beneficiano di condizioni fiscali agevolate in alcuni Stati europei, come l’Irlanda, e accumulano profitti senza essere tassati. Ma colpire i giganti del web è per ora un’idea che trova terreno fertile più in Commissione europea che tra gli Stati membri, piace a Ursula von der Leyen e a Emmanuel Macron, decisamente meno al governo di Dublino, di Roma e anche a Berlino non sono entusiasti. Poi ci sono le contromisure approvate mercoledì scorso e sospese giovedì. E c’è il pacchetto che dovrebbe rispondere ai dazi americani sull’auto. Ma ora si tratta. Sefcovic arriva a Washington anche con delle offerte. Per esempio quella di aumentare le importazioni in Europa di gas naturale liquido americano.