Lo Stato, gli apparati pubblici e i segnali del declino

E’ ridicolo, a volte, mettere sotto accusa alcune istituzioni chiave dello Stato, per singoli casi di corruttele o di sensazioni generiche. Ma lo è altrettanto tacere dell’impressione negativa che lasciano nel pubblico recenti notizie di cronaca che riguardano la Banca d’Italia, la Consob e il Consiglio di Stato. Soprattutto perché in questi casi ci troviamo difronte ad istituzioni altamente rappresentative di tutto un sistema; e poi perché le impressioni negative non nascono solo da recenti fatti di cronaca, ma affondano le proprie radici lontano nel tempo. Forte è l’impressione che queste istituzioni stiano smarrendo la dritta via che dovrebbe condurle al raggiungimento dei fini per cui sono preposte. Le stesse persone che vi lavorano sembrano aver smarrito la consapevolezza del proprio ruolo. Ma se questa è l’impressione che danno istituzioni come la Banca d’Italia, la Consob e il Consiglio di Stato, allora è naturale chiedersi che cosa dovrà essere il resto dell’apparato statuale: dell’alta burocrazia, dei suoi uffici dei suoi dirigenti. In sintesi è naturale chiedersi se ormai la crisi italiana non sia anche la crisi dell’intero sistema amministrativo e giuridico( dalla Banca d’Italia alla Consob, dal Consiglio di Stato al Csm), della sua qualità e capacità di servizio, dei modi che ne regolano il reclutamento e il funzionamento. Il fatto è che tra le tante fratture che hanno segnato il passaggio dalla prima alla seconda Repubblica, una tra esse, per certi versi la più importante, l’èlite pubblica del Paese, quella che vede affiancati la politica e l’amministrazione (intendendo con queste anche le varie magistrature)Prima del 1994 tra le due, a partire in particolar modo dagli anni sessanta quando ormai si erano superate le difficoltà della giovane Repubblica nata dalle ceneri della Monarchia e del Fascismo, si era instaurata una notevole convergenza che si sostanziava in una equilibrata tutela delle loro autonomie. La rottura susseguente alla crisi politica del 1992-1994, ha sancito la fine di una tradizione che risaliva ai padri fondatori del nostro Stato. Infatti a partire da quella data è ascesa al potere una classe politica figlia del mito della globalizzazione, slegata dalle regole e dal punto di vista morale alquanto disinvolta. Una classe politica che nulla sapeva dell’ideologia dello Stato nazionale e dei suoi interessi che ancora oggi sorregge ogni funzione pubblica. Una classe politica che più che amministrare e governare ha inteso comandare; che negli apparati dello Stato ha ben pensato di collocare uomini che più che amministrare fossero esecutori obbedienti. E’ accaduto così che nella Seconda Repubblica i vertici dello Stato, l’alta burocrazia, le alte magistrature, perduto il contatto con la precedente classe politica consapevole del proprio ruolo e rispettoso del ruolo degli altri, si sono ritrovati soli e abbandonati a se stessi. In questo stato di cose hanno pensato, illudendosi, di essere arbitri assoluti del destino del Paese, provocando spaccature profonde nel sistema statale e conflitti ad oggi insanabili. Quindi nell’ultimo ventennio si è dato vita ad un vero e proprio scollamento tra le Istituzioni dello Stato, che non può durare ancora a lungo se non si vuol far saltare l’intero sistema Paese.

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