L’Italia messa in ginocchio dal coronavirus e da una politica impreparata e incoerente

Ormai è evidente che l’emergenza coronavirus per quanto riguarda l’Italia non sia solo di carattere sanitario. Le conseguenze, le ripercussioni e i problemi sono molteplici e hanno investito buona parte del sistema nazionale. Anche a causa di una politica impreparata, incredibilmente ingenua. Costretta a pagare lo scotto dei propri errori.

L’emergenza sanitaria legata al coronavirus c’è, esiste, non ci sono dubbi. I numeri diffusi quotidianamente dal capo della Protezione Civile e commissario all’emergenza Angelo Borrelli evidenziano una rapida diffusione del virus, un repentino aumento delle vittime oltre che un numero sempre maggiore di guariti. E quest’ultima rappresenta ovviamente una buona notizia. Dal punto di vista medico, ovviamente, il governo ha una responsabilità limitata se non addirittura inesistente. Lodevole anzi la decisione del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte di consultarsi con un comitato scientifico, da considerarsi voce autorevole.

 Arriviamo purtroppo alle note dolenti della questione. Di fronte allo spettro dell’emergenza sanitaria l’Italia si è resa protagonista di una fuga in avanti che avrebbe poi avuto delle conseguenze. Ha fermato,  in qualche modo,  il traffico aereo con la Cina. Quello diretto. Il problema è che la mancanza di controlli ha fatto sì che persone provenienti da zone a rischio abbiano fatto tranquillamente ritorno a casa facendo scalo in un paese europeo ad esempio. Questo prendendo in considerazione solo gli italiani. Se allargassimo l’analisi ai turisti  scopriremmo che abbiamo rischiato un caso diplomatico assolutamente senza logica alcuna. O si sbarravano le frontiere a tutti o si cercavano altre soluzioni. La conseguenza a lungo termine della decisione di chiudere il traffico aereo con la Cina non si è fatta attendere. Quando il coronavirus è esploso in Italia diverse compagnie aeree hanno bloccato i voli (alcune solo su Milano, altre su diverse regioni della penisola) e molti paesi hanno sconsigliato i viaggi in Italia. Ma con quale coraggio andiamo a dire che ci stanno discriminando quando noi, per molto meno, ci siamo comportati allo stesso modo? Dov’è la credibilità? Dov’è la coerenza? Se in qualche modo possiamo giustificare il caos dei primi giorni, di fronte agli eventi e alle decisioni successive non possiamo trovare una motivazione coerente. Ancora al 4 marzo c’è chi dice che il COVID-19 è poco più di un’influenza, il tutto mentre il premier Conte, su consiglio del Comitato scientifico, vara le nuove regole che cambieranno la vita degli italiani per i prossimi 30 giorni.

 Siamo anche il Paese della massima trasparenza. O del panico incontrollato. In pochi giorni siamo diventati il lazzaretto d’Europa, ma questa etichetta ce la siamo attaccati addosso da soli. Abbiamo fatto campioni su campioni, test su test. Abbiamo fatto una ricerca meticolosa e – col senno di poi – anche ingiustificata, abbiamo identificato centinaia di casi salvo poi fare marcia indietro decidendo di ridurre il numero dei controlli. Troppo tardi. Le prime pagine dei giornali internazionali avevano già iniziato a discriminarci. In realtà non hanno fatto altro che unire i pezzi del puzzle che le nostre istituzioni, in preda all’ansia, hanno lasciato sul tavolo. Ignorando uno dei fondamentali della comunicazione. In casi come questo i numeri fanno notizia. E ancora non abbiamo finito di sbagliare. Nel bollettino quotidiano a cura del capo della Protezione Civile Angelo Borrelli viene fatta la distinzione tra i casi certificati dalle Regioni, (migliaia) e quelli certificati al momento dall’ISS, che devono essere considerati come i numeri ufficiali. Ma allora perché non dare solo quelli accertati, che sono meno della metà di quelli comunicati dalle autorità locali? E non si tratta di essere disonesti, si tratta di essere lungimiranti.

Ci andreste voi in un paese dove si registrano migliaia di casi di contagio e oltre settanta morti? Ci andreste in un Paese che per 30 giorni dovrebbe vivere a porte chiuse? No. Neanche se la zona rossa interessa pochi sperduti Comuni. In fondo in poche settimane il COVID-19 è partito dalla Cina ed è arrivato in Europa. Quanto potrà mai metterci a diffondersi nel resto d’Italia? E questo è il ragionamento che stanno facendo in questi giorni migliaia di persone che hanno annullato viaggi e visite in Italia mettendo in ginocchio il nostro commercio. Già al 4 marzo si segnala che molte piccole attività che hanno dovuto chiudere i battenti non hanno la possibilità di riaprire. O si inietta liquidità – che non abbiamo – nel sistema o per molti è arrivata la fine dei giochi. La fine della speranza. La fine di una vita. E a lungo termine si avranno delle conseguenze concrete anche sulla macro-economia. Quindi sì, a prescindere da quanto possa durare l’emergenza sanitaria, con il COVID-19 dovremmo fare i conti ancora per tanto tempo. E al numero delle vittime del virus aggiungeremo quello delle vittime di un Paese impreparato.

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