“L’Italia è un paese di m…”, Cassazione condanna 71enne per vilipendio

Attenzione alle imprecazioni, soprattutto se rivolte alla propria nazione. Pronunciare una frase del tipo “l’Italia è un paese di m…”, potrebbe bastare per meritarsi un pena per vilipendio. A deciderlo, la Cassazione che ha infatti confermato la condanna inflitta a un 71enne che, fermato dai carabinieri perché  viaggiava su un’auto con un solo faro acceso,  non ha trattenuto imprecazioni del tipo “in questo schifo di Italia di m….”, contestando la contravvenzione che gli stava per essere elevata. La Corte d’appello di Campobasso lo aveva condannato a pagare una multa di mille euro, pena interamente coperta da indulto, sentenza confermata dai giudici della prima sezione penale di ‘Palazzaccio’. “Il diritto di manifestare il proprio pensiero in qualsiasi modo – si legge nella sentenza depositata oggi – non può trascendere in offese grossolane e brutali prive di alcuna correlazione con una critica obiettiva”: per integrare il reato, previsto dall’articolo 291 del codice penale, “è sufficiente una manifestazione generica di vilipendio alla nazione, da intendersi come comunità avente la stessa origine territoriale, storia, lingua e cultura, effettuata pubblicamente”. Il reato in esame, spiega la Suprema Corte, “non consiste in atti di ostilità o di violenza o in manifestazioni di odio: basta l’offesa alla nazione, cioè  un’espressione di ingiuria o di disprezzo che leda il prestigio o l’onore della collettività nazionale, a prescindere dai vari sentimenti nutriti dall’autore”. Il comportamento dell’imputato, dunque, che “in luogo pubblico, ha inveito contro la nazione”, gridando la frase ‘incriminata’, “sia pure nel contesto di un’accesa contestazione elevatagli dai carabinieri per aver condotto un’autovettura con un solo faro funzionante, integra – osservano gli ‘ermellini’ – il delitto di vilipendio previsto dall’articolo 291 cp, sia nel profilo materiale, per la grossolana brutalità delle parole pronunciate pubblicamente, tali da ledere oggettivamente il prestigio o l’onore della collettività nazionale, sia nel profilo psicologico, integrato dal dolo generico, ossia dalla coscienza e volontà di proferire, al cospetto dei verbalizzanti e dei numerosi cittadini presenti sulla pubblica via nel medesimo frangente, le menzionate espressioni di disprezzo, a prescindere dai veri sentimenti nutriti dall’autore e dal movente, nella specie di irata contrarietà per la contravvenzione subita, che abbia spinto l’agente a compiere l’atto di vilipendio”.

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