L’Italia e Giorgia Meloni seguono Trump contro la CPI a valle del caso Almasri

La Corte Penale Internazionale dell’Aja, Istituita il 17 luglio 1998 ed entrata in vigore quattro anni più tardi, conta 124 Stati membri. Non hanno aderito allo Statuto di Roma gli Stati Uniti, Israele, Russia e Ucraina, Cina e India. Lo Statuto di Roma della Corte penale internazionale, chiamato anche Statuto della Corte penale internazionale o Statuto di Roma, è il trattato internazionale istitutivo della Corte penale internazionale. Definisce i principi fondamentali, la giurisdizione, la composizione e le funzioni degli organi dell’organizzazione internazionale, nonché i rapporti con le Nazioni Unite, con le organizzazioni intergovernative, internazionali e non governative, l’istituzione e le funzioni dell’Assemblea degli Stati Parte. Lo Statuto della Corte penale internazionale, firmato nel 1998, entrato in vigore nel 2002 e modificato nel 2010, è il prodotto di una lunga serie di tentativi per la costituzione di un tribunale sovranazionale. Già alla fine del XIX secolo furono mossi dei passi verso l’istituzione di corti permanenti con giurisdizione sovranazionale. Con le Conferenze internazionali per la pace dell’Aia i rappresentanti delle grandi potenze mondiali tentarono di armonizzare il diritto bellico, e di porre delle limitazioni all’uso delle armi tecnologicamente avanzate.

Donald Trump, dopo aver annunciato l’uscita da enti come Oms e Consiglio Onu per i diritti umani, ha firmato sanzioni contro la Cpi, seguito da Netanyahu, che peraltro è stato colpito da un mandato di cattura per i crimini commessi dalle forze armate durante la guerra a Gaza. Picconata analoga è arrivata anche dall’Italia dopo la vicenda dell’ufficiale libico ricercato dall’Aja e rimandato in patria con volo di Stato. L’Unione Europea ha fatto sapere che «sanzionare la Cpi mina il sistema di giustizia penale internazionale nel suo complesso e aumenta il senso di impunità di dittatori e criminali. Non è irrilevante che la Cpi stia lavorando su dossier di grandissima importanza, che potrebbero essere determinante anche durante eventuali, future ed auspicabili trattative di pace: l’aggressione russa all’Ucraina, i pogrom di Hamas in Israele il 7 ottobre e la rappresaglia di Israele a Gaza, e ultime ma non meno importante, le misure di apartheid di genere messe in atto dai taleban in Afghanistan.

‘Il caso Almasri è chiuso, il governo si è mosso bene, la sinistra se ne faccia una ragione’, la pensa così Nicola Latorre, un passato da dalemiano di ferro, come Velardi, Minniti e Ronbolino, non certo uno sponsor della premier Meloni. Senatore del Pd per diverse legislature, presidente della commissione Difesa del Senato, oggi docente di Relazioni internazionali all’università Guido Carli, intervistato da La Verità striglia le opposizioni. E invita a concentrarsi su questioni internazionali urgenti che richiederebbero ” rigore nelle discussioni, all’opposto dei toni urlati e propagandistici che trasmettono un’immagine non adeguata del nostro Paese”.

Per Latorre il dibattiti su questa vicenda va avanti da troppi giorni e sta facendo perdere di vista una serie di altri fatti che caratterizzano lo scenario geopolitico. È un errore tenere in scacco le attività del Parlamento”. L’ex senatore del Pd non ha dubbi: “L’opposizione ha utilizzato la propaganda per screditare il nostro Paese e attaccare il presidente del Consiglio. Ha misconosciuto le esigenze di sicurezza. E con l’obbligo di misurarsi con decisioni che, se da un punto di vista etico presentano elementi problematici, sul piano della responsabilità possono essere inevitabili”.

Il governo dal suo canto – aggiunge – poteva “chiudere la discussione sulla decisione presa, che personalmente condivido, motivandola con le esigenze di sicurezza nazionale. Se, insieme alle autorità che la regolano, il governo ha ritenuto di prendere questa decisione avrebbe dovuto esplicitarla subito chiaramente. Mantenere questo pericoloso criminale in condizioni di libertà o di restrizione nel nostro Paese avrebbe potuto produrre conseguenze per la sicurezza nazionale sia sul nostro territorio, ma anche per i cittadini e le aziende italiane che operano in Libia”. Latorre smonta anche il can can sull’assenza della premier Meloni alle Camere. “Decidere di presentarsi o no è prerogativa del premier. Quel che conta è che il governo abbia riferito nelle aule parlamentari”.

Nessun ricatto, come sostengono le opposizioni, dietro la decisione di “espellere questo signore, ma solo di una valutazione dell’interesse della sicurezza nazionale”. Latorre non esclude che ci sia la manina della Germania, vista la tempistica sospetta sul mandato di cattura del generale libico. “Non credo ci siano Paesi che avessero interesse a far detonare il caso in Italia, ma che ce l’avevano a non farlo esplodere in casa loro. Credo che la Germania si è preoccupata di non farlo esplodere nel pieno di una campagna elettorale nella quale il tema dell’immigrazione è cruciale. Bisogna considerare che, tra le tante protezioni internazionali di cui gode questo signore, c’è quella della Turchia e sappiamo quale influenza proprio in materia di immigrazione abbia la Turchia sulla Germania”.

E il pensiero va al caso Ocalan, il capo del Pkk curdo inseguito da un mandato di arresto internazionale per terrorismo. “Già nel 1998 – ricorda Latorre – c’era un mandato di cattura internazionale nei confronti di Ocalan. Doveva essere estradato in Germania dove però c’erano sia una grande comunità curda che una grandissima comunità turca. La sua presenza avrebbe alimentato tensioni sociali di complessa gestione. Il governo tedesco ha sempre evitato di chiedere l’estradizione anche quando, ricercato, riuscì a entrare in Italia. La gestione di quel caso impegnò il nostro Paese, non fu mai estradato in Germania e non mi pare abbia scatenato un putiferio come quello a cui stiamo assistendo”.

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