L’ipotetico governo e la produttività

Immaginando che dalle urne esca fuori un governo stabile e riformista tra le sue molteplici priorità ci deve essere un programma economico di medio e lungo termine, per rilanciare la produttività. Dalla produttività dipende la crescita del Paese ed il futuro dei cittadini. Dagli anni novanta la crescita, in termini di produttività è rallentata,non solo rispetto al passato ma anche rispetto ad altri Paesi dell’UE. Capire il motivo di questo progressivo impoverimento e trovare il modo con cui iniziativa pubblica e privata possano interagire simbioticamente, dovrebbe essere l’obiettivo primario del prossimo governo. Molte delle cause che hanno generato questo stato di cose già si conoscono da tempo. La crisi di produttività è legata alla scarsa capacità di innovazione tecnologica che ha toccato sia i servizi sia il settore manifatturiero, ma non tutte le imprese. Il successo di poche è legato alla internazionalizzazione e alla loro dimensione. Il nostro Paese è indietro anche nella formazione del capitale umano, con una bassa scolarizzazione se si compara con gli altri membri dell’UE. Altra peculiarità negativa, tutta italiana, è la scarsa efficienza delle pratiche manageriali, fenomeno che spesso si lega al selezionamento dei manager all’interno della famiglia del singolo industriale, invece che attraverso sapienti selezioni, basate su un numero più ampio possibile di talenti.Investire nella propria formazione non ha senso se la domanda di lavoro delle imprese non premia la specializzazione e l’istruzione alta.Chi ha di queste ambizioni scappa da questo Paese e va all’estero per formarsi e per percepire emolumenti dignitosi ed adeguati alla propria professionalità. Sin dagli anni Novanta nelle economie più avanzate, sono iniziati i processi di cambiamento produttivo legati alle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Queste ultime necessitano di investimenti in beni immateriali, come le invenzioni, i diritti, i brevetti. Chi non ha preso questo treno è stato penalizzato dalla competizione sempre più spietata che il processo di globalizzazione ha finito per accelerare. Un governo ha due modi per incidere. Uno, investendo sulla qualità del sistema educativo, di questo non se ne ha traccia nei programmi elettorali dei partiti. Secondo mettendo in campo un programma che favorisca l’adozione di nuove tecnologie, attraverso incentivi. Ma le resistenze sono tante. Ma anche l’automazione se non ben gestita può innescare meccanismi perversi. Basta guardare alla Germania e agli Stati Uniti, dove il risultato di un processo tecnologico avanzato che sostituisce sempre di più il lavoro dell’uomo con quello delle macchine , ha portato ad un progressivo indebolimento della capacità contrattuale dei lavoratori ed a un declino della quota Pil che va al lavoro. Si assiste al formarsi di gruppi aziendale e finanziari in regime di monopolio, che influenzano i mercati e rendono sempre più sottomessi i cittadini. Quindi il prossimo governo tra le sue priorità, dovrebbe avere anche quella di proteggere le vittime di questo progresso. I politici italiani che risulteranno eletti il prossimo 4 marzo dovranno decidere come affrontare le trasformazioni tecnologiche che stanno cambiando il mondo. Rinunciare al progresso è impossibile perché ci renderebbe ancora più poveri, e la povertà porta con sé la schiavitù.

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