L’incubo ebola torna in Africa

L’Africa occidentale ripiomba nell’incubo ebola visto che le autorità del paese africano hanno confermato il decesso di una donna di 38 anni risultata positiva al virus. La donna aveva prestato cure a Mariatu Jalloh, la ragazza che è morta lo scorso 12 gennaio dando inizio al nuovo focolaio. Questa morte arriva poche ore dopo che l’Organizzazione mondiale della sanità aveva dichiarato ‘ebola free’ anche la Liberia, l’ultimo paese africano in cui si continuavano a registrare casi di malattia perché tutte le catene di trasmissione del virus ebola erano state interrotte nell’Africa occidentale. Sebbene la Liberia fosse stato il primo dei tre paesi maggiormente colpiti dall’infezione, insieme a Guinea e Sierra Leone, a essere dichiarato ‘ebola free’ nel maggio dello scorso anno. Il virus si era già rifatto vivo due volte e l’ultima volta è datata allo scorso novembre. Ma il rischio che da qualche parte, nell’Africa occidentale, un focolaio si potesse riaccendere non era cancellato ma sembrava che dopo due anni, 11 mila persone morte e 30 mila infettate, l’epidemia di ebola fosse finita. L’Oms si era complimenta con il governo e la gente della Liberia per la loro risposta efficace alla   comparsa dell’ ebola. La capacità di rilevare e interrompere ogni catena di trasmissione è stato un successo monumentale, affermò il direttore generale dell’Oms Margaret Chan: ‘È stato necessario fare molto e molto è stato fatto dalle autorità nazionali, da operatori sanitari eroici, dalla società civile, dalle organizzazioni locali e internazionali e da partner generosi. Il nostro lavoro però non è finito ed è necessario continuare la sorveglianza per evitare nuovi focolai’. Ebola è infatti un virus subdolo e diversi studi scientifici hanno dimostrato che, sebbene quando opportunamente trattato tenda a scomparire abbastanza in fretta dal corpo dei malati, esiste un piccolo numero di casi in cui l’agente patogeno è in grado di ‘nascondersi’ nello sperma per oltre un anno. In questi casi può essere trasmesso attraverso i rapporti sessuali. Sono bastate, quindi, poche ore dalla dichiarazione Oms, perché il virus si facesse nuovamente vivo.  La popolazione, unita per affrontare l’epidemia nei mesi passati, aveva ormai tirato i remi in barca. E ora si trova spaesata, stanca e impaurita di fronte a questa nuova minaccia. Le autorità sanitarie dicono che almeno 50 persone che avevano avuto contatti con la prima vittima non sono rintracciabili. Una dozzina di esse sono considerate ad alto rischio di aver contratto l’infezione. Intanto cresce anche il numero di quanti avrebbero bisogno di misure cautelari, perché se dopo il primo decesso sono state 109 le persone messe in quarantena, ora si stima che siano 200. Ma la ritrosia della popolazione potrebbe rendere impossibile identificarle e convincerle a sottoporsi alle misure sanitarie. La rabbia ha già portato a casi di violenza e le abitazioni di alcuni dei pazienti in quarantena sono state attaccate e una di esse bruciate. E monta la sfiducia nei confronti delle autorità sanitarie a cui vengono addossate le responsabilità del fallimento nel dare il colpo di grazia all’epidemia. In queste condizioni, il rischio che il virus raggiunga la capitale Freetown è tutt’altro che remoto. E le conseguenze sarebbero imprevedibili. Intanto, il 20 gennaio, GAVI, l’alleanza globale pubblico/privata impegnata nella diffusione dell’immunizzazione della popolazione dei paesi poveri, ha annunciato di aver siglato un accordo con la farmaceutica Merck (MSD) per la fornitura di un vaccino per la protezione contro future epidemie di Ebola.  Gavi si è impegnata ad acquistare per 5 milioni di dollari 300 mila dosi di vaccino che l’azienda renderà disponibili già da maggio 2016, con ben un anno di anticipo rispetto alla probabile autorizzazione alla commercializzazione del prodotto. Benché non ancora approvato, quello di Merck è oggi l’unico vaccino contro ebola per cui siano disponibili dati sulla sperimentazione di fase III che, al momento, ne suggeriscono l’efficacia.  Resta, però, il problema di un eventuale uso del vaccino prima dell’approvazione da parte delle autorità sanitarie. In realtà, da mesi in Africa Occidentale si stanno sperimentando tre candidati vaccini prodotti rispettivamente da Merck, Johnson & Johnson e GlaxoSmithKline. Circa 20 mila persone hanno ricevuto questi prodotti.   Ma in pratica non è chiaro come questi vaccini dovrebbero essere somministrati in caso di epidemia. La più grande barriera è la burocrazia con protocolli da rispettare, approvazioni, oneri per i medici sarebbero lacci troppo stretti se si ripetessero le condizioni sanitarie degli scorsi mesi. L’accordo tra Gavi e Merck potrebbe risolvere il dilemma visto che l’azienda ha già richiesto all’Organizzazione Mondiale della Sanità il permesso di utilizzare il vaccino in caso di emergenza, avviando quella che è definita EUAL, Emergency Use Assessment and Listing procedure. Qualora l’autorizzazione fosse concessa, ogni ostacolo burocratico sarebbe superato e il vaccino potrebbe essere somministrato fin dalle primissime fasi di un eventuale focolaio.

Clementina Viscardi

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