L’incredibile mostra di Norman Foster al Guggenheim di Bilbao

Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, l’articoli inviatoci da Tartaglia Arte:

Un ronzio familiare, che presto diventa un rombo: motori, che echeggiano nelle curve sale del Guggenheim di Bilbao. L’atmosfera di meraviglia sospesa e stupore luccicante prende vita nelle cinque sale (più una) di Motion. Autos, Art, Architecture, progetto espositivo ideato da Lord Norman Foster e allestito fino al 18 settembre 2022 presso il Guggenheim di Bilbao. La celebrazione dei venticinque anni del museo tocca qui il suo apice: 38 automobili grandiose ‒ ognuna la migliore del suo tempo per bellezza, rarità, visione ‒ a cui sono accostate decine e decine di opere dal mondo della pittura, scultura, fotografia e architettura. I cinque differenti percorsi esibiscono, su piattaforme realizzate ad hoc da Foster e dal suo team, principesche sculture di metallo, microvetture e veicoli geniali con allestimenti dal ritmo sempre diverso, che però evidenziano il legame tra techne e ars, ponendo sopra ogni cosa il design: “Tutto è design, i problemi attuali sono figli del cattivo design. Però sono ottimista: il design è anche la chiave per risolverli, dobbiamo capire che non è una questione di stile ma di sopravvivenza. Per avere un futuro più pulito e brillante, è fondamentale ripensare il mondo e i suoi elementi”, racconta uno snello ed elegante (ottantaseienne) Norman Foster, i calzini rosso fuoco nella mise nera come un guizzo di forza neanche tanto nascosta.

LA MOSTRA MOVEMENT DI NORMAN FOSTER AL GUGGENHEIM DI BILBAO

Le sale ‒ puntualizza la co-curatrice della mostra Lekha Hileman Waitoller, che ha lavorato con il collega del Guggenheim Manuel Cirauqui e la Foster Foundation ‒ devono essere rigorosamente viste in ordine: come apprezzare, altrimenti, lo straordinario progresso scientifico, l’evolversi della bellezza delle carrozzerie, la democratizzazione dell’auto, e in sostanza, il genio dietro queste opere d’arte? Parliamo di auto tra le più rare mai realizzate, come una Bugatti Type 57 SC Atlantic, quattro esemplari della quale sono stati prodotti tra il 1936 e il 1938, e solo tre esistono ancora. Altre ancora meno: un maggiolino VW del ’51, una Mini originale, quell’unica Pegaso Z-102 Cupula e una Jeep Willys MB. Personalità ‒ perché di questo si tratta ‒ così eclatanti da far passare in secondo piano lavori straordinari. Ecco, girandosi si incrociano i dipinti di Ed Ruscha e le serigrafie di Andy Warhol, le fotografie di Margaret Bourke-White e quelle di Man Ray, i Brâncuși e Boccioni, i Balla e i Christo. La prima sala, gli Inizi, mostra l’avvento delle auto, di come scalzarono i cavalli e si iniziò ad apprezzare la velocità; poi si passa alla seconda, Sculture, la più trionfale della mostra: Bugatti e Pegaso, Bentley Continental e Delahaye 165 sono ariosamente accostate alla Figura sdraiata di Henry Moore e alla gigantesca scultura mobile di Alexander Calder 31 gennaio. Stipatissima la terza stanza, dedicata alla Popolarizzazione della macchina, con il culto dei Maggioloni e gli esperimenti della Minissima, dei microbus WV e ‒ ovviamente ‒ della Cinquecento. L’ala Sportiva lancia in scena la stupefacente Ferrari 250 GTO di Nick Mason ‒ che ha collaborato al sound design dei motori nella sala successiva ‒ insieme alla Aston Martin DB5 di James Bond e all’elegante Jaguar E Type. La sala dei Visionari vede una Lancia Stratos Zero e una Alfa BAT Car dividere lo spazio con le Firebirds e il bizzarro ma rivoluzionario pulmino di Buckminster Fuller, ricreato da Foster. “La mia parte preferita del programmare questa mostra, a cui abbiamo lavorato negli ultimi anni, è stata riportare in vita la Dymaxion di Buckminster Fuller, con cui ho lavorato nei suoi ultimi quindici anni. È il perfetto esempio del ‘more with less’, il motto che deve appartenerci oggi: era super aerodinamica e consumava poco, era capiente e divertente, cosa da non sottovalutare”, racconta Foster. L’ultima sala, Americana, porta all’ennesima potenza lo stile di vita car-oriented. Uno stile a cui dovremo rinunciare?

IL FUTURO SECONDO NORMAN FOSTER

La risposta che Foster dà, sorridendo, è non proprio. Ma ci saranno dei cambiamenti: “Abbiamo coltivato la passione per le auto, nel passato, in un certo modo. Anche con i sensi: il rumore dei motori, l’odore della pelle… Nella nuova era ci potrebbero essere nuove percezioni, per esempio diventeremo consapevoli della natura: pensate alla possibilità di avere città silenziose e pacifiche. E quando ci manca il rumore, basta andare al Grand Prix! Ci sono sempre scenari ottimistici e pessimistici: io sono ottimista, e quindi mi sento sull’orlo di un futuro emozionante”. Già ideatore di edifici iconici come il Gherkin e la Great Court del British Museum, il Reichstag e il campus di Apple Park, e oggi architetto a capo dello studio che porta il suo nome e consulente dell’ONU, Foster non concede nulla al pessimismo apocalittico da cui è così facile farsi coinvolgere, tra guerra, pandemia e cambiamento climatico. Anche per questo l’ultima sezione è dedicata agli scenari futuribili per una nuova cooperazione tra l’auto e la città, per Foster il simbolo della civiltà umana: “La storia delle città è una storia di crisi e soluzioni, è una lente d’ingrandimento dei fenomeni già presenti nel mondo. Le città non moriranno mai, sono la nostra vita, e al loro interno i musei avranno sempre più responsabilità”. Nell’ultima sezione, Futuro, 16 università da tutto il mondo ‒ Politecnico di Milano incluso ‒danno spazio alle visioni della nuova urbanità e della nuova mobilità, chiudendo con una nota positiva (e quasi politica) una mostra gigantesca. Tutta l’esposizione è, nelle parole del suo creatore, “una sorta di requiem per l’era della combustione”, un’esperienza profondamente divertente e gioiosa e semplicemente, stando al direttore Juan Ignacio Vidarte, la mostra più ambiziosa mai fatta dal Guggenheim di Bilbao.

  • By Giulia Giaume – artribune.com

Bilbao // fino al 18 settembre 2022 Motion. Autos, Art, Architecture GUGGENHEIM MUSEUM Avenida Abandoibarra 2


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