L’impasse dell’euro e dell’Unione Europea

In campana elettorale per le elezioni del 4 marzo è scomparso il rifiuto dei vincoli dell’euro, alimentato per lungo tempo  dalla propaganda delle forze politiche populiste. Per gran parte dell’opposizione, tuttavia, la questione europea resta un nodo da sciogliere attraverso una modifica sostanziale dell’Unione. Una trasformazione da cui scaturisca una sorta di mercato comune leggero, una zona di libero scambio in cui non sia esclusa la possibilità di dazi protettivi di carattere nazionale; in sintesi, una comunità di Stati ‘sovrani’ che contempli a livello nazionale il controllo della moneta, il presidio dei confini e l’assenza di vincoli per la finanza pubblica.

Il Sistema dell’Unione concepito a Maastrict nel 1992 è approdato nel 1999 alla moneta unica, in un contesto economico ancora caratterizzato da vistose disparità strutturali. I corollari dell’euro,  ossia il ‘Patto di Stabilità e Crescita’ del 1998-99 e il ‘Patto di Bilancio’ (Fiscal compact) del 2012, hanno reso ancora più profonde tali disparità.

 In questa situazione, la Germania ha potuto usufruire del cosiddetto ‘vantaggio esorbitante’, evidenziato  in sede di costituzione dell’euro.  In assenza di un sistema di flussi riequilibratori tra gli Stati, si sono verificate onerose restrizioni di bilancio per i Paesi più indebitati.   Con accenti molto diversi essi hanno ribadito che la moneta unica tra Paesi economicamente così diversi non può resistere a lungo senza flussi finanziari compensativi, specialmente in periodi di  recessione o di stagnazione.

Un’importante riflessione in materia si riferisce al prospettato controllo nazionale della moneta. L’idea che la svalutazione del cambio renda possibile  la ricostituzione dei margini di  competitività perduti è un’illusione ottica pericolosissima, come insegna l’esperienza storica dei Paesi, come l’Italia, che in passato hanno forzato le proprie possibilità di sviluppo a colpi di svalutazioni monetarie. In realtà, la svalutazione peggiora le ragioni di scambio, realizzando la svendita delle nostre risorse all’estero, in primo luogo del lavoro.  Svalutando si entra in una corsa ad ostacoli crescenti, le cui conseguenze, vale a dire le distorsioni indotte dall’inflazione importata e dai reiterati slittamenti del cambio, gravano poi per decenni sulle generazioni successive. La fragilità economica, che nel contesto della crisi attuale rende da molti anni così difficoltose per il nostro Paese la ripresa della crescita economica ed il controllo del debito pubblico, costituisce l’inevitabile eredità delle svalutazioni della lira effettuate negli ultimi decenni del secolo scorso.

Non è difficile immaginare le conseguenze a cascata derivanti dall’abbandono  dell’euro da parte di uno dei grandi Paesi fondatori: una reazione a catena negli altri partner che trascinerebbe con se il dissolvimento dell’accordo monetario e, probabilmente, anche di tutte le altre politiche dell’Unione. Finirebbe così in rovina la più proficua e lungimirante costruzione unificante dello sviluppo dei popoli mai realizzata in tempo di pace; il tessuto di strette relazioni economiche e politiche costruito per decenni verrebbe meno e dalle sue ceneri emergerebbe, probabilmente, il nazionalismo di Stati votati all’autarchia e all’autoritarismo.

Ai nostri figli ed ai nostri nipoti lasceremmo in eredità un continente condannato all’irrilevanza nella politica mondiale, disseminato di muri e di barriere, utili solo ad esorcizzare le paure ed il cieco egoismo dei suoi cittadini.

Dall’attuale situazione di impasse dell’euro e dell’Unione è opportuno trarre una prima conclusione: l’euro non è irreversibile, poiché, come qualsiasi realtà umana, può essere distrutto dai fattori umani. Ma il suo inestimabile valore può essere salvaguardato dall’insensata avversione alle politiche ed alle istituzioni comunitarie. Occorre vivere questo periodo di grandi difficoltà come un  tempo di opportunità, per contrastare il pericolo della desertificazione economica e sociale che il populismo comporta.

Alla classe dirigente tedesca spetta il compito principale di salvare l’Europa dai nazionalismi, accettando l’idea che l’euro non può essere un ‘marco mascherato’ e che la rigida austerità conduce i Paesi europei verso rovinose catastrofi democratiche. E non rifiuti a priori  di europeizzare parzialmente, insieme ai suoi partner, alcuni problemi non risolvibili a livello nazionale: in primo luogo la stagnazione economica e poi, gradatamente, gli investimenti, il debito pubblico, la povertà, le migrazioni, le banche.

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