L’Europa della Ricerca muore sotto un fiume di soldi

Quando lo scorso 26 gennaio Alexis Tsipras ha giurato sulla Costituzione greca insediandosi come primo ministro non tutti stavano pensando all’impatto che il nuovo corso greco potrà avere sull’economia europea. C’era anche chi si stava chiedendo se il freno all’austerità annunciato dal quarantenne leader di Syriza possa contribuire a risollevare la Ricerca greca dall’abisso in cui sta sprofondando.  Per un bizzarro paradosso, infatti, anche se la Ricerca è considerata dalle organizzazioni che stanno imponendo le misure di austerità (Unione Europea, Banca Centrale Europea e Fondo Monetario Internazionale) essenziale per la ripresa economica, non viene esentata dalle misure di contenimento della spesa. Così, nel 2014 i budget dei centri di ricerca greci e delle università erano un quarto rispetto al 2009 e gli stipendi dei ricercatori, nello stesso periodo, sono scesi di un terzo. La nomina di Costas Fotakis, uno scienziato, a ministro della Ricerca e dell’Innovazione è segnale che fa ben sperare visto che   ha la conoscenza dell’ecosistema della ricerca e dei problemi che lo affliggono a causa delle misure burocratiche, ed anche l’esperienza per attuare i cambiamenti di cui c’è urgente bisogno per rilanciare la ricerca e le politiche dello sviluppo in Grecia. Tra le sfide che Fotakis si troverà ad affrontare è di far sì che i centri di ricerca e le aziende greche siano in grado di attrarre gli investimenti in ricerca dell’Unione Europea, che dal 1984 a oggi ha stanziato per questa voce di spesa quasi 120 miliardi di euro attraverso i Programmi Quadro. L’ultimo, Horizon 2020, è partito da qualche mese ed è il più imponente investimento in ricerca mai compiuto dall’Europa. Ottanta miliardi di euro in sette anni. Una cifra enorme, che può fare la differenza.  Il rischio di programmi di finanziamento alla ricerca, come quelli messi in atto dall’Unione Europea, è che questi soldi finanzino i Paesi e le regioni che già stanno facendo bene, ma che non facciano granché per l’altra metà dell’Europa che sta vedendo un costante indebolimento delle proprie capacità di ricerca e innovazione. Un problema non da poco. Gli investimenti che dovrebbero far crescere economicamente l’Unione Europea, ma soprattutto contribuire a costruire una comunità scientifica continentale, rischiano invece di frammentare ulteriormente l’Europa sancendo una divisione tra aree ricche, scientificamente avanzate e iperconnesse , ed aree destinate a essere relegate alla marginalità. Degli oltre 55 miliardi di euro stanziati tra il 2007 e il 2013, la fetta più grossa è finita alle economie più forti del continente: Germania, Regno Unito e Francia che da sole si sono accaparrate quasi il 40 per cento della torta. E non è mera questione di dimensioni del Paese: basta leggere i numeri applicando la lente del finanziamento procapite per rendersi conto che i soldi vanno nei Paesi più avanzati dal punto di vista economico e della ricerca. Così se l’Olanda si è portata a casa ben 200€ per cittadino, all’Italia ne sono toccati appena 58. Se in Svezia sono 175, in Spagna appena 68. Tacendo dei Paesi dell’ex Blocco Sovietico di recente ingresso nell’Ue a cui sono spettati le briciole: nove nazioni si sono spartite appena 1,7 miliardi di euro, poco più di quanto ha percepito da sola la Svezia. Gli investimenti pubblici in ricerca sono calati in media del 10 per cento con picchi del 20 in Italia e del 40 in Grecia. L’idea di fare dell’Europa uno spazio comune di ricerca ci si sta ritorcendo contro, con fiumi di cervelli che dal Sud Europa si spostano verso il Nord, e questa emorragia di persone e idee avrà l’effetto di accentuare il divario nella competitività economica. E con le piccole e medie imprese, uno dei destinatari privilegiati dei fondi UE,   che crollano come castelli di carta, ed Horizon piuttosto che rilanciare le economie rischia di trasformarsi in uno strumento di selezione naturale spietato. Ci sarebbero i fondi strutturali, uno strumento economico ideato proprio per colmare i deficit strutturali di alcuni Paesi e per rimetterli in pari con quelli più avanzati. Cinquanta miliardi per i prossimi sette anni. Ma laddove sono stati utilizzati nel campo della Ricerca non si è avuto il successo sperato ed il problema rimane aperto e chiama in causa il fine stesso dell’Unione Europea nel campo della Ricerca: unire le forze per produrre singole punte di eccellenza globale o creare uno spazio di condivisione e di crescita comune?

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