Legge elettorale tra Renzi e Bersani con Alfano ‘terzo incomodo’

L’asse Renzi-Alfano risorto  in terra sicula nelle elezioni che si terranno  il prossimo 5 novembre  non è andato giù agli ex-Pd che hanno seguito Pierluigi Bersani nel Mdp. Lo spiega molto bene Alfredo D’Attorre: ‘Se la scelta è quella di sacrificare tutto sull’altare del fidanzamento Renzi-Alfano, suggellato dall’accordo alle elezioni regionali in Sicilia sia chiaro allora che Mdp non reggerà il moccolo del ritrovato amore’.

I bersaniani lamentano  l’abbandono, da parte del governo della legge sullo Ius soli, boccone pregiato per fare concorrenza al Pd. Scontato l’annuncio di una ritorsione sulle prossime scadenze: ‘Sul Def e sulla legge di stabilità, noi faremo valere le nostre ragioni. A questo punto è bene che ognuno si assuma le proprie responsabilità’.

Sulla legge elettorale, vero epicentro dello scontro, dai microfoni di ‘Radio Radicale’ interviene lo stesso Bersani: ‘È una vergogna se si pensa di andare avanti con questi due ‘moncherini’ di legge elettorale’.  A suo avviso con i due ‘moncherini’  che sono  capilista bloccati e  le pluricandidature il sistema si prende la totale responsabilità dell’ingovernabilità.

Bersani non crede che quella tra Renzi ed Alfano sia un’alleanza vera ed organica,  quanto  un accordo temporaneo limitato a tre obiettivi specifici, elencati dall’ex-leader del Pd come ‘caso Sicilia, caso Ius soli e caso legge elettorale’.

Sulla legge elettorale,  secondo quanto riporta la Stampa,  sarebbe già pronto il ‘piano B’ sotto forma di ricorso alla Consulta che potrebbe armonizzare e uniformare, con un taglio in 8 articoli della legge relativa al Senato, quella della Camera.

Il piano B esiste e si basa su un forte presupposto politico-istituzionale  e su un solido impianto tecnico-giuridico, un’ottantina di pagine riccamente argomentate. Chi l’ha studiato negli ultimi due mesi e sta per renderlo pubblico lo definisce ‘via costituzionale alla riforma’, perché prevede un nuovo ricorso alla Consulta. La Corte sarebbe investita esplicitamente della questione e potrebbe agire chirurgicamente. L’eliminazione di alcune parole in otto articoli della legge del Senato sarebbe sufficiente a uniformarla a quella della Camera.

  Il piano B ha anche una tempistica. Entro questa settimana deposito della questione di incostituzionalità. Entro il 15 ottobre ordinanza del tribunale che la solleva davanti alla Consulta. Entro il 20 gennaio udienza alla Corte, con possibile sentenza. L’effetto politico sarebbe duplice: paralizzare le velleità di conclusione repentina della legislatura dopo la legge di bilancio; puntare una pistola  alla tempia del Parlamento, che in caso di ulteriore inerzia sarebbe esautorato, per la terza volta in quattro anni, dalla Consulta.

Attualmente le due leggi elettorali sono il frutto delle sentenze con cui la Corte ha sancito l’incostituzionalità del Porcellum (2014) e dell’Italicum (2017). Dalla prima sentenza residua la legge per il Senato, dalla seconda quella della Camera. Le due leggi, così malnate, sono spurie sotto diversi profili. In sintesi: alla Camera coalizioni vietate, al Senato permesse; alla Camera premio di maggioranza alla lista che supera il 40%, Senato senza premio; alla Camera soglia di sbarramento al 3%, al Senato al 3% per le liste dentro una coalizione che supera il 20% e all’8% per le liste solitarie; alla Camera capilista bloccati, al Senato preferenze per tutti; alla Camera garanzia di rappresentanza di genere uomo-donna, al Senato questione non regolata (la Consulta ha dato un’indicazione di massima, mai applicata).

Le nuove questioni riguardano: soglia di accesso alla Camera, candidature multiple alla Camera, soglie al Senato, vizio nel procedimento di approvazione dell’Italicum. Ma è la quinta la più importante e dirompente: la disomogeneità tra le leggi elettorali.

La stessa Corte nella sentenza sull’Italicum scriveva che la Costituzione, se non impone al legislatore di introdurre, per i due rami del Parlamento, sistemi elettorali identici, tuttavia esige che, al fine di non compromettere il corretto funzionamento della forma di governo parlamentare, i sistemi adottati, pur se differenti, non ostacolino, all’esito delle elezioni, la formazione di maggioranze parlamentari omogenee.

Esattamente il rischio dato dalle leggi spurie, cui il Parlamento non ha posto rimedio.

Il piano B, come si diceva, è pronto a scattare il 20 gennaio. Fino ad allora nessuna ipotesi di scioglimento del Parlamento riuscirà convincere il Quirinale.

 

 

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