‘Lear, la storia’ con Mariano Rigillo al Teatro Mercadante di Napoli

Dopo il debutto allo Stabile di Catania, che lo produce insieme allo Stabile di Napoli, arriva dal 20 aprile al 1 maggio al Teatro Mercadantedi Napoli lo spettacolo LEAR, la storia di William Shakespeare, nell’adattamento di Giuseppe Dipasquale e la traduzione di Masolino d’Amico.Su regia dello stesso Dipasquale, protagonista dello spettacolo nel ruolo del grande personaggio shakespeariano è Mariano Rigillo, che approda al Lear del Bardo con l’autorevolezza acquisita in oltre sessant’anni di straordinaria carriera. Con lui, in scena, un numeroso cast di interpreti: Anna Teresa Rossini (il Matto), Sebastiano Tringali (Gloucester), David Coco (Edmund), Filippo Brazzaventre (Kent), Silvia Siravo (Cordelia), Giorgio Musumeci (Edgar), Luigi Tabita (Regana), Cesare Biondolillo (Re di Francia/Oswald), Enzo Gambino (Curan), Roberto Pappalardo (Goneril). Le scene dello spettacolo sono firmate da Giuseppe Dipasquale; le opere in scena sono di Angela Gallaro, che ha concepito anche i costumi; le musiche sono di Germano Mazzocchetti; i movimenti coreografici di Donatella Caprao; le luci di Franco Buzzanca. Lear, sottolinea Giuseppe Dipasquale, è un ossimoro vivente. Come Giobbe è tragicamente solo sul cammino dell’espiazione del dolore, ma non potrà né salvare se stesso né tantomeno il mondo che inesorabilmente si è incrinato. Perché la sofferenza di Lear ha il suo opposto nella follia del delirio, nella ricerca del lavacro per la sua Ybris. L’abdicazione inscenata come una sorta di ordalia dell’amore delle figlie, è il fatto, in sé semplice, che inaugura la catastrofe del Re Sacro. Egli compie la più banale delle azioni che determinano l’infezione del suo mondo: apre le porte al male. Un mondo che è il suo stesso corpo divino, che egli divide, smembra, dilania nella libido isterica del potere. Lear è parte del male, tanto quanto lo è del bene. Lear è entrambe le facce di una irrisolta divinità. Già dalle prime battute di Kent e Gloucester abbiamo la visione di un re che agisce per predilezione. Eppure Lear si presenta al suo cerchio familiare come un re equo, che vuole dividere in parte eguali il regno. Salvo chiederne in cambio un atto di fede delle figlie. E’ qui l’ossimoro: saggiamente dispotico; umilmente tracotante, euforicamente tragico. ‘Dal niente nasce il niente’, sprona il re la reticente Cordelia. L’inganno è già tutto in quella prima scena, conclude Dipasquale: «Lear ha imposto a tutti il gioco dell’abdicazione, sotto forma di rito che non ammette il vero. In questa situazione Cordelia non può esprimersi con la verità che chiede Lear, ma egli non comprende, anzi ne rimane deluso e strappa il velo dell’armonia. La verità è cacciata e il suo carnefice ripone il senso delle cose sulla finzione interessata delle due sorelle. Quando queste riveleranno la loro vera intenzione per il re sarà il vuoto: nulla da colmare con altro nulla, quello del Matto, quello di Kent, quello di Gloucester con Edmund e Edgar. Perché il Lear è anche una vicenda di padri e figli, dove sempre il tema della verità si consuma per forme tragiche. L’impianto scenico racconterà il determinarsi del vuoto attraverso un muro sacro del pianto che scompare a vista d’occhio

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