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In Italia nel 2017 sono poco più di un milione e mezzo i lavoratori in nero: una cifra tendenzialmente in diminuzione, di circa 200mila unità, rispetto al 2015. E gli occupati del tutto sconosciuti a livello previdenziale e fiscale causano un mancato gettito allo Stato stimato in 20 miliardi e 60 milioni di euro. Lo rivela la Fondazione studi dei consulenti del lavoro, che ha rielaborato i dati del primo anno di attività dell’Ispettorato nazionale del lavoro. Numeri decisamente inferiori alle stime della Cgia di Mestre, che valuta in 3,3 milioni i lavoratori “invisibili”, che genererebbero 77,3 miliardi di fatturato in nero all’anno, sottraendo al fisco 42,6 miliardi.
Nel 2017, si legge, l’Ispettorato ha applicato le nuove sanzioni più pesanti in materia di caporalato nel settore agricolo: si registra il deferimento di 94 persone all’Autorità giudiziaria, delle quali 31 in stato di arresto, e l’individuazione di 387 lavoratori vittime di sfruttamento. Il 2018 presenta dati ancor più incoraggianti: nel primo semestre dell’anno in corso si rileva il deferimento di 60 persone all’Autorità Giudiziaria, delle quali una in stato di arresto, e l’individuazione di 396 lavoratori coinvolti, mentre sono stati adottati 9 provvedimenti di sequestro. Le cifre, si sottolinea nello studio, “riportano l’attenzione sull’importanza strategica di un’incisiva azione di contrasto al lavoro ‘nero’ che, non di rado, sfocia in fenomeni di caporalato diffuso, non solo in agricoltura”. “Il sommerso – afferma il presidente della Fondazione studi dei consulenti del lavoro Rosario De Luca – è “in forte aumento soprattutto dopo la depenalizzazione, avvenuta col ‘Jobs act’, del reato di intermediazione fraudolenta di manodopera”.