Prof. Enzo Caffarelli, Lei è autore del libro L’anima medievale nei nomi contemporanei, edito da Olschki: che rilevanza assume la presenza del Medioevo nell’onomastica italiana contemporanea?
Ho trovato tracce medievali, e in alcuni casi ben più di semplici tracce, in ogni tipologia onomastica che ho affrontato nel libro: antroponimia (nomi, cognomi, soprannomi di famiglia e nomignoli, nomi d’arte, pseudonimi ecc.); toponimia (nomi di borghi, città, province, regioni, nazioni, microtoponimi, oronimi e idronimi ossia denominazioni di alture e di corsi d’acqua); crematonimi (nomi né di persona né di luogo come esercizi commerciali, oggetti, luoghi di ristoro, centri di aggregazione ecc.); ideonimia (opere dell’ingegno umano: arte, letteratura, cinema, teatro, tv, fumetti ecc.); astrotoponimia (nomi di luogo in pianeti e satelliti del sistema solare); deonomastica (nomi comuni e forme grammaticali del lessico derivanti da nomi propri).
Il nodo da sciogliere, caso per caso, è se un nome d’epoca medievale oggi vivo e usato sia stato modernamente recuperato oppure abbia goduto di continuità nel tempo. Un’altra difficoltà è costituita dal concetto di Medioevo, a cominciare dalle sue coordinate cronologiche. Si tratta di dieci, se non undici, secoli di storia, nei quali si sono incontrati e scontrati, e succeduti valori morali, religiosi, politici, sociali, economici, artistici… Ho accolto la convenzione di fissare l’inizio dell’Età di mezzo nel 476, con la caduta dell’Impero Romano d’Occidente e la sua fine con la scoperta delle Americhe da parte degli europei, nel 1492. Ma vari studiosi hanno contato diversamente: per es. hanno fatto coincidere il Medioevo con Costantinopoli, dalla sua nascita all’occupazione turca.
D’altra parte come si può pensare che il V secolo d.C. e il XV presentino un elevato grado di omogeneità? Noi siamo eredi soprattutto del Basso Medioevo, e dei suoi ultimi secoli. E soprattutto dell’età iniziale del secondo millennio della quale, come direbbe Tommaso di Carpegna Falconieri, uno dei più brillanti storici contemporanei, siamo figli e genitori insieme: figli perché ne discendiamo e padri perché poi ce la siamo reinventata.
Il Suo studio dedica particolare attenzione all’odonimia nostrana: in che modo i nomi di strade, piazze, viali rappresentano un termometro sincero della visione medievalista dell’Italia moderna?
Gli aspetti sono due, differenti tra loro. Ci sono i nomi di strade, vicoli, piazze ecc. che si sono tramandati dal Medioevo. Nell’Età di mezzo erano perlopiù descrittivi: segnalavano cioè la presenza di qualcosa di particolare (la forma, la lunghezza, un albero vistoso, un’immagine scolpita dalla natura su un muro, un edificio, specie una chiesa, ma anche una semplice edicola, o portavano il nome della famiglia proprietaria del palazzo o della torre che sull’area di circolazione affacciavano). Tre erano le piazze principali, che rispecchiavano la religione, la politica amministrativa e il commercio: e ancora oggi esistono in alcune città e paesi la piazza del Duomo, la piazza del Comune e la piazza del Mercato.
Ma l’aspetto cui la domanda fa più riferimento riguarda le celebrazioni moderne di personaggi ed eventi dell’Età di mezzo. Ossia, non odonimi correlati, spontanei, descrittivi. Ma odonimi irrelati, pedagogici, celebrativi. Gli onomasti li distinguono, per semplificare, in endogeni ed esogeni.
Quelli imposti dall’Unità d’Italia in poi sono in massima parte esogeni. È vero, ci può essere la via Dante perché in una casa che insiste in quell’area il poeta abitò per qualche tempo. Ma se analizzassimo le oltre 4 mila via/viale/piazza Dante o Dante Alighieri o l’insegna assai goffa D. Alighieri, scopriremmo quasi solo omaggi senza relazione diretta.
Ora, con Dante, l’esempio è lampante: ma le scelte degli amministratori nel nominare le aree di circolazione, spesso sostenute dai cittadini, associati e non, indicano chi o cosa del Medioevo quel Comune intende ricordare in modo particolare. E allora, in chiave sia quantitativa sia qualitativa, possiamo valutare l’interesse per l’Età di mezzo.
Basti consultare la classifica elaborabile dai dati di SEAT Pagine Gialle pubblicata nel mio libro: a Dante e a San Francesco seguono S. Antonio, S. Rocco, Leonardo da Vinci, Cristoforo Colombo, Petrarca, Raffaello, Giotto, Vespucci, Ariosto, S. Caterina, Marco Polo, Boccaccio e Machiavelli.
L’omaggio medievale, però, non sempre è consapevole. Tra i cittadini di cultura medio-bassa o bassa è possibile che il nome celebrato nell’insegna, se pure non sconosciuto, non si saprebbe dove collocarlo nel tempo (e nello spazio). Eppure basterebbero due righe supplementari nelle insegne per rendere più colti gli italiani.
Un altro modo per misurare la visione medievalista nell’età moderna è costituita dal fenomeno crescente di sagre, feste, rievocazioni in costume ecc., che si va diffondendo come moda nelle città e nei paesi italiani e anche all’estero. Poche gare o rappresentazioni hanno raggiunto fama nazionale e oltre, come il Palio di Siena. Ma si tratta di centinaia di iniziative, alcune parzialmente finanziate dagli enti pubblici, con ricerche filologiche e storiche che consentono un riconoscimento ufficiale. Il mio libro dedica molte pagine alle sagre, alle fiere, ai palii che tentano di ricostruire valori e atmosfere medievali.
In ambito antroponomastico, cosa rivela il confronto tra Medioevo e XX-XXI secolo?
È la domanda che tutti pongono tra le prime quando si parla di questo libro. L’aspetto più considerevole è la scelta e la motivazione di un nome e dunque quali repertori, di quale tipo, quanto numerosi ecc. erano e sono disponibili al nominante, ossia generalmente ai genitori del nuovo nato e della nuova nata.
C’è poi l’aspetto forse più banale, ma che in ogni caso desta curiosità. Quali sono i nomi tipicamente (o anche) medievali che ritroviamo oggi tra quelli assegnati con maggiore frequenza ai figli? Una tabella del libro raccoglie un centinaio di nomi ben vivi nel Medioevo, o addirittura dominanti e ne confronta la frequenza nell’anno 2000, a chiusura del sec. XX, e poi nel 2022, ultimo anno disponibile nella banca dati Istat al momento i cui Olschki ha chiuso la lavorazione del volume. Ebbene, dal confronto risulta che la maggior parte dei nomi registra una forte tenuta della gran parte dei nomi di maggior diffusione nel Medioevo fino al XX secolo (ma sarebbe necessario un esame secolo per secolo per sapere se si tratti di continuità senza soluzione o di parabole ascendenti e discendenti).
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Che relazione intercorre dunque tra l’onimia medievale e quella moderna e contemporanea?
Una relazione quasi certa per alcuni nomi, ma non nelle dimensioni generali e questo per due motivi. Il primo: chi studia onomastica lo sa bene, disponiamo di una ricca documentazione solo per alcuni secoli (dal XII al XV) e per alcune aree (la Toscana, Roma, qualche zona dell’Italia meridionale e la Sicilia). Per raggiungere la completezza occorrerebbero anni di lavoro, équipe numerose e specializzate e un po‘ di buona sorte per reperire i documenti utili.