La violenza dei poliziotti e il diritto al lavoro

Insorgono in questi giorni gli abitanti di Ferrara ed i genitori di Federico Aldovrandi, il ragazzo di 18 anni che il 25 settembre del 2005 fu picchiato a morte da quattro poliziotti, chiamati all’alba perché <<un ragazzo, uscito dalla discoteca, dava segni di agitazione >>. Il problema è che tre di quei quattro agenti, dopo aver passato sei mesi agli arresti e dopo sei mesi di sospensione dal lavoro come sanzione disciplinare, stanno per riprendere servizio a Ferrara. Quella mattina i poliziotti schiacciarono a terra il ragazzo, colpendolo con pugni e manganelli e provocandone la morte. Sono stati, poi, condannati a tre anni e sei mesi di reclusione per eccesso colposo in omicidio colposo. I giudici hanno scritto che <<non vi era alcun bisogno di picchiare il ragazzo, in quanto sarebbe bastato attivare il  servizio sanitario per risolvere il problema>>. Il Ministero degli Interni ha pagato ai familiari della vittima oltre due milioni di euro a titolo di risarcimento, ed ora la Corte dei Conti vorrebbe recuperare dai responsabili almeno una parte delle somme anticipate. Gli Aldovrandi sono indignati perché sostengono l’inidoneità di quegli agenti a tornare a fare un lavoro in cui hanno dimostrato assoluta carenza di equilibrio e di capacità. Peraltro, secondo il padre del ragazzo, non si sono mai pentiti, né hanno preso iniziative per ottenere il perdono della famiglia. Anche il sindacato di polizia si è sempre schierato a favore degli agenti. L’atteggiamento della famiglia va senz’altro compreso e giustificato. Rimane, tuttavia, la sensazione che i poliziotti, i quali comunque hanno pagato per quanto commesso, e tanto crediamo abbiano pagato anche le loro famiglie, abbiano diritto di tornare al lavoro. Ci si deve, tuttavia, auspicare che gli stessi siano adibìti a mansioni diverse, di natura amministrativa, e che non vengano più destinati al servizio attivo sulle volanti. E soprattutto occorre sperare che trovino il coraggio per chiedere perdono ai familiari di Federico.

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