La stabilità in Italia. Un’ipotesi di scuola

La stabilità è diversa a secondo da dove la si guardi. In Italia la si può tranquillamente, ormai, definire un’ipotesi di scuola. Mentre in Germania l’equilibrio e la stabilità sottendono l’idea che il Palazzo del potere sia un luogo in cui le forze politiche pur contrapponendosi ideologicamente, lavorano con efficienza e determinazione per il raggiungimento del fine ultimo il bene della nazione e dei cittadini tedeschi. Nella nostra disastrata seconda Repubblica il fine ultimo è il disconoscimento reciproco, lotta politica ad oltranza, una campagna elettorale permanente ferma sulle questioni pregiudiziali. Sicuramente si tratta di questioni che hanno implicazioni giuridiche, politiche ed etiche, del tutto rispettabili,  ma se si guardano dal punto di vista di un intero continente, quello europeo, che rischia di soccombere con il suo fardello fatto di istituti ormai obsoleti e non più al passo con i tempi, ma soprattutto incapace di competere con le potenze emergenti del continente americano ed asiatico, ci accorgiamo all’improvviso che esse sono espressioni di processi ormai compiuti e già finiti. Non si vedono neanche i prodromi di nuove politiche, di leader che pur badando ai propri interessi politici, sappiano condividere con l’avversario l’intento comune che è il bene del Paese. Ma ciò che deprime di più il cittadino nell’osservare la condotta dell’attuale classe politica non è tanto l’incapacità a raggiungere la tanto agognata stabilità, quanto il latente vizio di restare in modo impassibile a guardare solo all’interno della casa politica di appartenenza e ritenere che solo da quella parte in caso di bisogno si debba ripartire, senza chiedersi se non sarà forse meglio ricostruire chiedendo aiuto anche al proprio vicino. E’ questo modo di pensare che va superato, messo una volta per sempre da parte, se non vogliamo che un giorno, non troppo lontano, ci ritroviamo di nuovo un paese diviso ed asservito a questa o a quella potenza, che ci detteranno le regole politiche economiche e finanziarie, ma non certo per il bene degli italiani, ma per il loro tornaconto. Non a caso Letta lancia l’allarme, sostenendo che in caso di crisi di Governo corriamo il rischio che l’UE ci detterà le regole per rispettare il patto di stabilità. Ne tengano conto Renzi, Epifani ed i loro compagni di partito.

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