La promessa di matrimonio

La promessa di matrimonio, fatta vicendevolmente per atto pubblico o per scrittura privata oppure risultante dalla richiesta della pubblicazione, obblighi il promettente a risarcire il danno cagionato all’altra parte per le spese fatte e per le obbligazioni contratte a causa di quella promessa, entro il limite in cui le spese e le obbligazioni corrispondono alla condizione delle parti, qualora egli ricusi di eseguirla senza giusto motivo. La giurisprudenza della Suprema Corte è concorde nel qualificare l’obbligazione di rimborso delle spese affrontate e delle obbligazioni contratte in vista del matrimonio come una speciale responsabilità conseguente ex lege all’esercizio di recesso, non riconducibile a quella aquiliana ai sensi dell’art. 2043 c.c., essendo la scelta di non contrare matrimonio un atto di libertà incoercibile (cfr Cass. 2.1.2012, n. 9), e neppure a quella precontrattuale o contrattuale, non essendo la promessa di matrimonio un contratto e non costituendo essa un vincolo giuridico tra le parti, la quale presuppone che la rottura del fidanzamento avvenga ‘senza giusto motivo’ (Cfr Cass. 15.4.2010, n. 9052). Ebbene, nel caso di specie, pur essendo stato documentalmente dimostrato che le parti avevano deciso di contrarre matrimonio, provvedendo alle relative pubblicazioni presso la casa comunale di San Sperate nel periodo  15.3.2004/23.3.2004 (come da certificato del 27.3.2004), è rimasto altrettanto provato che la rottura del fidanzamento non era avvenuta ‘senza giusto motivo’, essendo essa frutto di una decisione sostanzialmente concorde delle parti sia pure indotta da un aspro litigio intercorso nella giornata del 9.4.2004, a circa un mese dalla data fissata per la celebrazione del matrimonio. In merito, non è tanto rilevante il fatto che i futuri suoceri permanessero costantemente nell’abitazione delle parti, all’epoca conviventi, come lamentato dal convenuto, quanto il fatto che tale circostanza, in uno con la scortesia manifestata dall’attrice nei confronti dei familiari del futuro marito, fosse diventata per la coppia motivo di aspri litigi, rendendo la convivenza intollerabile. In tal senso hanno deposito le sorelle e il padre del P., confermando che la V. era solita avere atteggiamenti indisponenti e provocatori nei confronti della futura suocera e delle sorelle di quest’ultima, tanto da indurre queste ultime a non andare più a trovare il nipote (cfr deposizione resa da P.I.), e che i genitori della stessa erano sempre presenti nella abitazione della coppia, come personalmente verificato (cfr deposizione resa da P.M., P.I. e P.S.).  Ed è proprio in questo stato di reciproco fastidio che si è verificato l’episodio del 9.4.2004, allorquando dopo l’aggressione dell’attrice nei confronti della suocera, vi era stato un aspro litigio tra le parti che aveva posto fine alla convivenza (cfr deposizione resa da P.M., P.I. e P.S. e V.I., padre dell’attrice). Anche con riguardo all’epilogo di tale ultimo episodio, le versioni offerte dai testimoni delle due parti non possono dirsi in contraddizione, avendo il padre dell’attrice, I.V., ricordato che il futuro genero aveva detto di non volersi più sposare, e le sorelle del convenuto che, pur avendo questi tentato, nel prosieguo, di chiarire la situazione con la futura moglie, la stessa o non rispondeva al telefono o obiettava che sarebbe passata a prendere le sue cose e che non sarebbe più tornata. Se anche il convenuto, dopo il litigio, avesse dunque manifestato la sua intenzione di non sposarsi (come riferito dal futuro suocero), deve evidenziarsi come sia stata la stessa attrice a interrompere il rapporto, mostrandosi oppositiva rispetto a qualsiasi dialogo nei giorni successivi (come ricordato dalle sorelle del convenuto e dal padre, che era stato presente in occasione dell’ultima riunione familiare, successiva al litigio, quando E. decise di riprendersi le sue cose e di non volersi più sposare). Né può dirsi attendibile l’accusa mossa dalla V. in merito ad asserite percosse subite dal futuro marito, non soltanto perché di esse non vi è evidenza documentale, benchè, secondo quanto riferito dal padre, fosse stata visitata dalla guardia medica, ma anche perché curiosamente il padre, che pure era intervenuto in occasione dell’episodio del 9.4.2004, non si era accorto che la figlia fosse stata picchiata, avendolo appreso dal medico che in altra imprecisata  occasione l’aveva visitata, riscontrando la presenza di ematomi asseritamente cagionati dal fidanzato con calci. E tale circostanza non soltanto risulta sconfessata dalle stesse deduzioni dell’attrice, che invece aveva riferito di percosse subite proprio in occasione dell’episodio del 9.4.2004 (cfr capo 8, memorie depositata in data 15.1.2007), ma rende ancor meno attendibile la deposizione del teste C.C., all’epoca fidanzato della sorella della V., secondo cui, in quell’occasione, quest’ultima gli aveva fatto vedere dei lividi presenti sulla gamba. Se dunque fosse stato vero che il convenuto, durante il litigio, aveva colpito la futura moglie alla testa e alle gambe, non si capisce perché il padre, giunto in soccorso della figlia, non si fosse avveduto delle ecchimosi presenti sul corpo della stessa e neppure ne fosse stato reso edotto da quest’ultima. Deve dunque dirsi che la rottura del matrimonio sia stata causata da intollerabilità della convivenza, intrapresa dalle parti prima di contrarre le nozze, e dunque in presenza di un giusto motivo. Per quanto detto, avendo il convenuto dimostrato il fatto costitutivo negativo della pretesa dell’attrice, della cui prova era onerato, la domanda proposta deve essere rigettata”.

Trib. Cagliari, Sentenza del  16 febbraio 2016

Marco Andrea Doria

 

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