La memoria delle foibe

Oggi è la giornata della memoria per ricordare le foibe, dove   10.000 italiani tra uomini, donne e ragazzi giovanissimi  subirono   sevizie e torture. Venivano  legati a piccoli gruppi e con filo di ferro erano  gettati vivi in  cavità, strette e profonde fino a 200 metri subendo una terribile agonia. La tecnica usata era questa: venivano messi in fila indiana e sparati,  facendo si che la caduta del primo della fila si trascinasse con se tutto il gruppo. Queste erano sinteticamente le foibe. Il nome deriva dai grandi inghiottitoi carsici che nella Venezia Giulia sono chiamati, appunto, foibe. Per estensione i termini “foibe” ed  “infoibare” sono diventati quindi sinonimi di uccisioni. Le foibe vanno storicamente inquadrate nella disputa tra italiani e popoli slavi per il possesso delle terre dell’Adriatico orientale e nelle lotte intestine fra i diversi popoli che vivevano in quella area,  e nelle ondate epurative Yugoslave del dopoguerra  ed originata da una imposizione di stampo filo-sovietico che aveva mire sui territori confinanti. Pertanto questi autentici massacri furono gestiti dai comunisti iugoslavi che occuparono l’Istria,  che era terra italiana attuando un pulizia etnica. Circa trecentomila italiani dovettero abbandonare la loro terra per essere ammassati in campi profughi dislocati in diverse città italiane. E’ verosimile pensare che 100.000 di queste persone emigrarono in altre nazioni. Fin dai primi del’900 la nazionalità italiana in Dalmazia era una parola priva di senso. Appartenere agli italiani in Dalmazia originava solo sofferenze visto che il primo ideale di nazionalità era quello dalmata, che racchiudeva in sé radici slave e romanze. Col nascere del nazionalismo croato, questo ideale venne combattuto dal Partito del Popolo croato che richiedeva l’unione fra Dalmazia e Croazia, negando l’esistenza di una componente italiana ed invocando l’eliminazione dell’uso dell’italiano nella vita pubblica e la croatizzazione delle scuole. Fornisco  semplicemente  alcuni cenni storici che possono spiegare le origini di queste tragiche vicende. Ciò premesso, il fenomeno delle foibe  può considerarsi come un evento derivante da un disegno politico annessionista, il cui obiettivo era l’annessione  della Venezia Giulia alla Jugoslavia, neutralizzando gli italiani che si opponevano a questa annessione. Con l’avvento di un governo comunista jugoslavo in quelle terre si volevano  neutralizzare reali o potenziali oppositori del costituendo regime comunista. Furono poche le persone che riuscirono a salvarsi risalendo dalle foibe e comunque tra questi Giovanni Radeticchio che rilasciò questa puntuale dichiarazione: “Dopo giorni di dura prigionia, durante i quali fummo spesso selvaggiamente percossi e patimmo la fame, una mattina, prima dell’alba, sentii uno dei nostri aguzzini dire agli altri di fare  presto, perché si partiva subito. Infatti poco dopo fummo condotti in sei, legati insieme con un unico filo di ferro, oltre a quello che ci teneva avvinte le mani dietro la schiena, in direzione di Arsia. Indossavamo i soli pantaloni e ai piedi avevamo solo le calze. Un chilometro di cammino e ci fermammo ai piedi di una collinetta dove, mediante un filo di ferro, ci fu appeso alle mani legate un masso di almeno 20 chilogrammi. Fummo sospinti verso l’orlo di una foiba, la cui gola si apriva paurosamente nera. Uno di noi, mezzo istupidito per le sevizie subite, si gettò urlando nel vuoto, di propria iniziativa. Un partigiano allora, in piedi col mitra puntato su di una roccia laterale, c’impose di seguirne l’esempio. Poiché non mi muovevo, mi sparò contro. Ma a questo punto accadde il prodigio: il proiettile anziché ferirmi spezzò il filo di ferro che teneva legata la pietra, cosicché, quando mi gettai nella foiba, il masso era rotolato lontano da me. La cavità aveva una larghezza di circa 10 m. e una profondità di 15 sino la superficie dell’acqua che stagnava sul fondo. Cadendo non toccai fondo e tornato a galla potei nascondermi sotto una roccia. Subito dopo vidi precipitare altri quattro compagni colpiti da raffiche di mitra e percepii le parole “un’altra volta li butteremo di qua, è più comodo”, pronunciate da uno degli assassini. Poco dopo fu gettata nella cavità una bomba che scoppiò sott’acqua schiacciandomi con la pressione dell’aria contro la roccia. Verso sera riuscii ad arrampicarmi per la parete scoscesa e guadagnare la campagna, dove rimasi per quattro giorni e quattro notti consecutive, celato in una buca. Tornato nascostamente al mio paese, per tema di ricadere nelle grinfie dei miei persecutori, fuggii a Pola. E solo allora potei dire di essere veramente salvo.”. Per 60 anni sono stati tenuti nascosti questi tragici capitoli alla maggioranza degli italiani, anche perché  c’era un fortissimo Partito Comunista e cominciava a formarsi quel “mito” dell’antifascismo. Anche la Democrazia Cristiana, a cominciare da De Gasperi, ha contribuito a questo “silenzio”, sia per non creare problemi col PCI, sia per non turbare i rapporti con la vicina Yugoslavia comunista di Tito alla quale l’Italia aveva ceduto l’Istria e la Dalmazia, con le italianissime città di Fiume, Pola e Zara, mentre Trieste si salvò dall’occupazione comunista, solo per l’intervento degli alleati. Sulle foibe è stata quindi applicata una censura che fa sì che ancora oggi non si conosca una verità perfettamente  e completamente circolare.

Roberto Cristiano

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