Al Teatro Vascello di Roma è in scena fino al 25 maggio “La gatta sul tetto che scotta” di Tennessee Williams, per la regia di Leonardo Lidi. Un classico del teatro americano che in questa nuova produzione acquista una forza visiva e drammatica sorprendente, grazie a una lettura che riesce a essere
L’impatto iniziale è visivo: la scenografia ideata da Nicolas Bovey, fatta di lastre di marmo calacatta, fredde e imponenti, suggerisce un’ambientazione mentale prima che realistica. È uno spazio neutro e solenne, dove le parole e i silenzi risuonano ancora più forti. L’impianto scenico, insieme ai costumi di Aurora Damanti e al disegno luci dello stesso Bovey, crea un ambiente in cui tutto sembra immobile, sospeso, ma pronto a esplodere.
I personaggi si muovono all’interno di questa gabbia emotiva con grande intensità. Valentina Picello dà vita a una Maggie ironica e disperata, affilata e tenera, lucida nella sua battaglia per non soccombere. Brick, interpretato da Fausto Cabra, è il fulcro doloroso del dramma: la sua fragilità, il suo silenzio, diventano linguaggio. Orietta Notari, nel ruolo di Big Mama, riesce a condensare in ogni gesto un misto di ingenuità e sofferenza, resa ancora più evidente dal contrasto tra la sua figura e il costume vivace che indossa.
Interessante la scelta registica di mantenere in scena, per tutta la durata dello spettacolo, il personaggio di Skipper, interpretato da Riccardo Micheletti. Il suo corpo muto ma presente diventa simbolo di un desiderio rimosso, di un amore mai vissuto, di un dolore che si fa materia. È una presenza che inquieta e commuove.
Leonardo Lidi dirige con attenzione chirurgica le dinamiche familiari, mettendo in luce l’ipocrisia, le tensioni, le convenzioni soffocanti. Temi come l’omosessualità repressa, la mascolinità fragile, il potere economico e la lotta per l’eredità vengono trattati senza didascalismi, ma con chiarezza e rispetto. E ci ricordano che, a distanza di settant’anni, certi meccanismi sociali sono ancora dolorosamente attuali.
Questa Gatta sul tetto che scotta non si limita a raccontare un dramma familiare: lo trasforma in uno specchio che riflette le nostre paure e contraddizioni. Un teatro che ferisce e cura allo stesso tempo. Da non perdere.
Giulia Nardinocchi