La Circe di Versilia resta in carcere: I figli si oppongono alla grazia

Niente grazia per Maria Luigia Redoli, meglio conosciuta come la Circe della Versilia, condannata all’ergastolo per l’omicidio più torbido che abbia mai coinvolto la Versilia. L’accusa per la donna è quella di esser stata la mandante dell’uccisione del marito Luciano Iacopi, accoltellato dall’ex amante di Redoli, Carlo Cappelletti, il 17 luglio 1989 a Forte dei Marmi. Ad opporsi ad ogni forma di perdono sono i due figli, Diego e Tamara.

I FATTI. Sono circa le 2,15 di notte tra domenica 16 luglio 1989 e lunedì 17. Nel garage dell’abitazione della famiglia Iacopi, moglie e figli rivengono Luciano Iacopi, 69enne ricco mediatore immobiliare, stroncato da 18 coltellate. Protagonisti dell’intricata vicenda: Maria Luigi Redoli, moglie dell’uomo, una cinquantenne dal forte ascendente ribattezzata dalla stampa la Circe della Versilia, e i suoi figli: l’appena maggiorenne Tamara e il minorenne Diego. I tre avevano passato la serata del 16 assieme all’amante della Redoli, il 24enne carabiniere a cavallo Carlo Cappeletti, con cui la donna aveva avviato una relazione dal maggio dello stesso anno. La giornata del marito era iniziata presto; erano le 6.30 quando Iacopi si era recato in treno a Follonica dall’amante Agata Tuttobene, frequentata dal settembre ‘88 e a cui aveva timidamente confidato dei dissapori familiari e del Cappelletti, che la moglie aveva avuto l’ardire di portare in casa. “Lunedì chiarirò questa situazione” le disse. Poi alle 21.45, rientrato a casa, le telefonò di nuovo. Rincasata alle 17 per una doccia, la Redoli invece si era diretta a cena con figli e amante all’Hotel Universo a Lido di Camaiore, dove il gruppo era ripartito alle 21.30, alla volta dello storico locale versilese La Bussola di Focette. Prima dell’arrivo al locale, attorno alle 22, il quartetto fece un giro in macchina e passò anche dalla villetta sulla provinciale: è proprio in quell’arco di tempo che gli inquirenti collocano il delitto. Il 4 agosto venne arrestata Tamara Iacopi, poi immediatamente rilasciata. Dalle intercettazioni telefoniche dei due amanti effettuate in quelle ore, il giorno successivo, i Carabinieri del Nucleo Operativo di Viareggio decisero poi di arrestare la Redoli e il Cappelletti. Dopo gli arresti, gli interrogatori dei primi di agosto consegnarono particolari sempre più torbidi e la vicenda assurse alla cronaca più nera e scandalistica: madre e figlia da tempo desideravano la morte del familiare e la stessa Redoli per questo aveva chiesto a un mago viareggino, dietro il pagamento di 15 milioni di lire, di trovarle un killer. Il mago, Marco Porticati, aveva intascato i soldi senza contattare sicari e il 12 luglio la donna, esasperata, gli aveva dato l’out-out. Nelle perquisizioni del 17, il giorno dopo il delitto, furono ritrovate delle foto del mediatore immobiliare trafitte da spilloni, pratica che Tamara sosteneva di aver fatto senza un perché in uno stato di semi–trance. La Redoli, in menopausa, aveva fatto inoltre credere al giovane amante di aspettare un figlio da lui, mentre i figli Tamara e Diego erano stati concepiti con un precedente amante, circostanza conosciuta dalla figlia maggiore. Questi elementi però sono insufficienti, secondo la difesa dell’avvocato Graziano Maffei, a inchiodare qualcuno dei suoi assistiti, assolti per non aver commesso il fatto il 17 aprile del 1990; per il Cappelletti invece ci fu una condanna a 2 anni 2 mesi di reclusione per detenzione e porto abusivo d’armi, che occultava nella natia Norma a Latina. Ma il pubblico ministero Domenico Manzione, che rappresentava l’accusa, non ci sta e ricorre in appello presso la seconda corte d’assise di Firenze. La requisitoria di Manzione è decisiva e prospetta una dinamica in cui il Cappelleti avrebbe atteso in garage l’uomo condotto con una scusa dalla moglie. Il 16 febbraio 1991 Maria Luigia e Cappelletti sono dichiarati colpevoli del delitto di omicidio pluriaggravato e condannati all’ergastolo, sentenza poi confermata in Cassazione il 23 settembre 1991.

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