Jobs act, la fiducia passa tra 165 sì e lanci di libri

Urla, risse, senatori in piedi sui banchi, lancio di libri contro la presidenza. L’opposizione trasforma il Senato in un campo di battaglia, per provare a bloccare il cammino del Jobs act. E riesce a impedire che il voto di fiducia sulla riforma,  che poi c’è nella notte con 165 sì, 111 no e due astensioni,  arrivi in contemporanea con il vertice europeo che Matteo Renzi presiede a Milano. Questo  non impedirà al governo di raggiungere il suo obiettivo, avverte a muso duro il premier: “Non molliamo di un centimetro. Porteremo a casa il risultato”. E così è con una fiducia piena votata a notte fonda, mentre i senatori della minoranza del Pd annunciano battaglia alla Camera per modificare il testo. E’ dall’inizio molto nervosa, la giornata al Senato. Ed è subito caos quando intorno all’ora di pranzo il ministro Giuliano Poletti prende la parola in Aula per illustrare il maxiemendamento del governo che modifica e sostituisce il testo della delega sul lavoro. L’emendamento rinvia ai decreti delegati l’intervento più delicato, quello sui licenziamenti. Ma l’articolo 18 è parte integrante della riforma.  E per superare la disciplina attuale il governo chiederà la fiducia sul provvedimento. In Aula Poletti dovrebbe illustrare, tra gli altri, proprio quel punto, spiegando come il governo si impegna a modificare l’articolo 18 nei decreti delegati. Ma non riesce a farlo. “Andate a casa”, urlano i senatori 5 Stelle, coprendo con le urla le parole del ministro. E il capogruppo grillino Vito Petrocelli deposita 50 centesimi sui banchi del governo: “Un’elemosina”, spiega. Il gesto fa andare su tutte le furie il presidente Pietro Grasso, che espelle Petrocelli e sospende la seduta. Il caos continua, i grillini oppongono resistenza, poi si quietano. Ma intanto impediscono a Poletti di terminare a voce il suo intervento, che deve mettere agli atti consegnando una copia scritta. A Milano è in corso nelle stesse ore un corteo contro il vertice Ue sul lavoro: “Siamo pronti a occupare le fabbriche”, ribadisce il segretario della Fiom Maurizio Landini. Ma Renzi, giunto in città per una conferenza fortemente voluta con i leader europei, sfida gli oppositori: “Possono contestarci, ma il Paese lo cambiamo”. Il maxiemendamento  giunge infatti a Palazzo Madama  alle 16.32,  e riforma il mercato del lavoro con interventi come gli sgravi sulle nuove assunzioni, la riduzione delle forme contrattuali, i nuovi ammortizzatori sociali. E’ il “passo importante” per il quale anche Angela Merkel si congratula con Renzi. Il governo e la maggioranza dunque non cedono alle proteste delle opposizioni e confermano il proposito di votare la fiducia in giornata, anche a costo di fare nottata. Cosa che di fatto avviene.  “Stanotte in Senato è andata molto bene. Mi sembra che stia crescendo il sostegno” al Governo “anche in Senato. Il margine è molto forte: 165 a 111. Sono molto contento del risultato numerico”,   dice il premier Matteo Renzi arrivando alla segreteria del Pd al Nazareno.”Ieri i senatori hanno fatto un grandissimo passo avanti  e gli italiani sono stanchi delle sceneggiate di alcuni senatori. Dopo il via libera alla fiducia sul Jobs Act al Senato “rimane l’amarezza perché i lanci di libri” contro la presidenza “sono immagini tristi per i cittadini che si domandano che senso abbia. Noi andiamo avanti”, ribadisce. A chi gli chiede delle dimissioni annunciate da Walter Tocci, in dissenso dal Pd sul Jobs Act dopo aver votato la fiducia,  Renzi risponde:  “Farò di tutto perché Walter Tocci, che è una persona che stimo molto, continui a fare il senatore”. Tocci, infatti,  si   presenta al capogruppo Luigi Zanda e annuncia: “Voto sì ma poi mi dimetto da senatore”.  Una ricompattata minoranza Pd, proclama: “Sono stati fatti passi avanti ma non basta”. Ma poiché la critica è sulla riforma del lavoro e non si intende rischiare di far cadere il governo, i ribelli annunciano che voteranno sì alla fiducia ma proseguiranno la battaglia per le modifiche alla delega alla Camera. E mettono agli atti un documento con in calce le firme di 35 parlamentari della minoranza dem. In Aula i partiti di opposizione, dal M5S, alla Lega, al Sel, ad una battagliera FI, fanno ostruzionismo sul calendario dei lavori per provare a impedire che la fiducia venga votata in giornata, come vuole il governo. E quando Grasso, dopo aver ascoltato decine di interventi, impone una stretta mettendo ai voti l’ordine dei lavori, il capogruppo della Lega Gianmarco Centinaio gli scaglia contro un librone contenente il regolamento del Senato, i grillini urlano “Non si può” e salgono in piedi sui banchi del governo. Nell’emiciclo torna il caos e scoppia la rissa anche tra Sel e Pd: Loredana De Petris e Roberto Cociancich vengono alle mani, separati dai commessi. Ma il governo e la maggioranza vanno avanti. Il voto di fiducia arriva ma solo con l’inizio del nuovo giorno. Le proteste “sono sceneggiate, non politica. E’ mancanza di rispetto, si consenta di votare”, aveva commentato  Renzi ieri,  e  con una sola certezza: “Abbiamo aspettato 40 anni per le riforme, i nostri senatori potranno aspettare ancora qualche ora, ma porteremo a casa il risultato”.

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