Il 9% circa delle specie di api e farfalle è a rischio di estinzione e con essi anche il principale meccanismo che le piante hanno a disposizione per riprodursi; circa il 90% delle piante selvatiche da fiore ha bisogno di impollinatori per riprodursi: api, vespe, farfalle, mosche, coccinelle, ragni, rettili, uccelli e anche mammiferi; oltre il 75% delle principali colture agrarie beneficia dell’impollinazione operata da decine di migliaia di specie animali (almeno 16 mila tra gli insetti).
Questi sono i dati forniti da Ispra, l’istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale che fa capo al ministero della transizione ecologica.
Nel rapporto Ispra “Piante e insetti impollinatori: un’alleanza per la biodiversità”, si apprende inoltre che l’attuale declino degli impollinatori dipende da una serie di pressioni ambientali che spesso agiscono in sinergia: distruzione e frammentazione degli habitat, inquinamento ambientale e eccesso di pratiche agricole intensive, cambiamenti climatici, la diffusione di specie aliene invasive, tra cui patogeni e parassiti, come la vespa velutina, l’ape resinosa gigante, la formica faraone e la formica argentina, e specie vegetali che alterano gli habitat o risultano tossiche per le specie impollinatrici native.
La Strategia per la Biodiversità 2030 e quella “Farm to Fork”, lanciate nel 2020 dall’Unione Europea, contengono proposte per raggiungere entro il 2030 una serie di importanti obiettivi mirati alla salvaguardia della biodiversità, impollinatori inclusi, e a garantire l’integrità degli ecosistemi e la sicurezza alimentare. Tra questi, ridurre il consumo di suolo, incrementare la superficie coltivata con metodi rispettosi dell’ambiente e della biodiversità (come l’agricoltura biologica, che dovrebbe raggiungere il 25% dei suoli europei), ridurre del 50% l’utilizzo di pesticidi nell’ambiente e favorire il mantenimento di specie vegetali selvatiche attraverso aree inerbite e incolte.
Piera Toppi