Indennità di disoccupazione Naspi: chi non ne ha diritto

La Naspi è l’indennità di disoccupazione erogata a ex lavoratori dipendenti che hanno perso il lavoro per cause indipendenti dalla loro volontà. Ne hanno diritto, quindi, coloro che sono stati licenziati dall’azienda, anche nel caso in cui la decisione sia motivata da giusta causa e dipenda da un comportamento poco corretto del dipendente. Allo stesso modo se ne ha diritto in seguito a un mancato rinnovo di un contratto dopo la sua scadenza naturale.

 Non spetta la disoccupazione, invece, a chi si dimette per libera scelta.

Tuttavia c’è un’eccezione poiché la Naspi è riconosciuta anche nel caso di dimissioni per giusta causa. Come riconosciuto dal giudice, infatti, in questo caso l’interruzione del lavoro pur essendo decisa in ultima istanza dal dipendente non è attribuibile ad una sua volontà. Si parla di dimissioni per giusta causa, ad esempio, quando il lavoratore non riceve lo stipendio da almeno due mensilità, o anche qualora vi sia stato un notevole peggioramento delle mansioni lavorative. Ciò vale anche per chi ha subito delle molestie sessuali in ufficio e in generale per tutti quei casi in cui il datore di lavoro sia colpevole di un inadempimento del contratto talmente grave da impedire la normale prosecuzione del rapporto lavorativo.

Possono esserci dimissioni per giusta causa, però, anche quando è il dipendente a non poter più svolgere i compiti per i quali è stato assunto a causa del sopravvenire di una particolare circostanza. Si parla,inoltre, di giusta causa per le dimissioni presentate nel periodo della maternità ovvero nell’arco temporale che va da 300 giorni alla data presunta della nascita al compimento di 1 anno d’età per il nascituro.

Anche per le dimissioni per giusta causa la comunicazione va data in maniera telematica. In questo caso però viene meno l’obbligo del preavviso, quindi le dimissioni possono essere anche immediate. Al dipendente, comunque, spetterà l’indennità sostitutiva del preavviso che dovrà essere riconosciuta dal datore di lavoro per un importo quantificabile nella normale retribuzione che sarebbe spettata al dipendente in caso di mantenimento dell’impiego nel periodo di preavviso. A questo poi si somma il vantaggio già anticipato dell’indennità di disoccupazione Naspi che viene riconosciuta nonostante la decisione finale di abbandonare l’impiego sia stata presa dal lavoratore stesso.

 Il diritto alla Naspi si può anche perdere. Accade ad esempio quando il lavoratore firma un nuovo contratto a tempo determinato di durata non superiore a 6 mesi. In questo caso l’indennità viene sospesa d’ufficio, per poi riprendere una volta che il rapporto di lavoro volge al termine.

Perdono il diritto alla Naspi anche quei lavoratori che dall’inizio della nuova attività lavorativa a tempo determinato (non superiore a 6 mesi) non hanno ancora inviato all’INPS la comunicazione con la quale indicare il reddito annuo presunto.

Se un disoccupato trova un nuovo lavoro (ma con un reddito inferiore agli 8mila euro) continua a godere dell’assegno anche se ridotto dell’80%. È facile allora capire perché perde ogni diritto all’assegno il beneficiario che inizia una nuova attività lavorativa e non comunica all’INPS il reddito presunto che ne deriva. E così pure chi viola il patto di servizio personalizzato sottoscritto con il centro per l’impiego. Infine perde ogni diritto all’assegno chi raggiunge i requisiti per la pensione di vecchiaia o anticipata.

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