In Italia 600mila malati di Alzheimer, in continua crescita

Sono oltre 600mila nel nostro Paese i malati di Alzheimer, almeno la metà degli 1,2 milioni di italiani affetti da una qualche forma di demenza. Un numero in continua crescita e sicuramente sottostimato, per cui si spendono 11 miliardi di euro annui, di cui ben il 73% a carico delle famiglie. Lo dimostra lo studio condotto dal Censis in collaborazione con l’Associazione Italiana Malattia di Alzheimer (Aima), presentato a febbraio. Mentre continuano le sperimentazioni per mettere a punto farmaci, in occasione della XIII Giornata dell’Alzheimer, che si celebra il 21 settembre in tutto il mondo, gli esperti ricordano che una dieta sana e corretti stili di vita possono ridurre il rischio di ammalarsi.

Inoltre è importante non sottovalutare alcuni campanelli d’allarme, che, accanto alla perdita di memoria, possono essere spia della malattia. Forma di demenza più diffusa, il morbo di Alzheimer è causato dall’accumulo progressivo nel cervello della proteina beta-amiloide che distrugge le cellule nervose, intaccando la memoria e, a lungo andare, anche la capacità di svolgere le normali attività della vita quotidiana. Colpisce normalmente nella Terza età, ma nel 5% dei casi si manifesta anche in persone sotto i 65 anni. Attraverso la PET e l’analisi del liquido cerebrospinale, si può stabilire il rischio di sviluppare la malattia prima della comparsa dei deficit cognitivi. Questo ha reso possibile la messa a punto di terapie che sono “in fase avanzata di sperimentazione e potrebbero modificare il decorso della malattia, prevenendone l’esordio”, spiega Carlo Ferrarese, Direttore Scientifico del Centro di Neuroscienze di Milano, dell’Università di Milano-Bicocca e membro della Società italiana di Neurologia (Sin). Ad oggi, però, una terapia in grado di fermare la malattia ancora non esiste. Quello che si può sperare è che una diagnosi precoce aiuti a contenere il danno, sottolinea Ferrarese, “perché apre alla possibilità di entrare in trial sperimentali e aiuta ad adottare stili di vita adeguati, che hanno dimostrato di rallentare il decorso della malattia”. Se il fattore genetico sembra avere un ruolo e ancora le cause ambientali non sono bene definite, quel che è certo è che fattori di rischio sono ipertensione, diabete, obesità e fumo. “Studi recenti – ricorda l’esperto – hanno dimostrato che la dieta mediterranea, l’esercizio fisico, la pratica di hobby e i rapporti sociali agiscono da fattore protettivo”. Anche se c’è maggiore consapevolezza che in passato, il tempo medio con cui si arriva a una diagnosi è ancora di quasi 2 anni. Tra gli errori da evitare, concentrarsi troppo su quello che è il sintomo più frequente e caratteristico, ovvero la perdita di memoria. Secondo un recente studio condotto dalla Northwestern University e dall’Alzheimer’s Disease Center, a seconda della parte del cervello attaccata, la malattia potrebbe manifestarsi con altri sintomi, che dovrebbero suonare come campanelli d’allarme: perdita di inibizione, difficoltà nella lettura, nella scrittura e nel parlare.

Circa Luca Teolato

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