Ilaria Salis, in tandem con Mimmo Lucano, corre in soccorso di Maysson Majidi, attivista curda iraniana di 28 anni arrestata a gennaio dalla Guardia di finanza con l’accusa di essere la scafista di una imbarcazione con 77 migranti sbarcati a Crotone il 31 dicembre 2023, ed accusata dalla Procura di Crotone. Il proclama di innocenza, in favore dell’iraniana, accusata di essere all’organizzazione di un barcone alla cui guida c’era un comandante arrestato a sua volta, si accompagna a una delirante teoria sull’inesistenza dell’attività degli scafisti, in linea con un recente film nel quale si mostra un clandestino che ha pagato per viaggiare a bordo del natante ed essere costretto, alla fine, a guidare lui.
L’ europarlamentare Mimmo Lucano si è recato in carcere a Reggio Calabria per visitare Maysson Majidi, “reclusa – secondo la Salis – come molte altre persone migranti, con l’accusa pretestuosa di scafismo, reato comunemente utilizzato per criminalizzare le migrazioni e distruggere il diritto d’asilo. Io e Mimmo lavoreremo insieme per portare in Europa il suo caso. Forza Maysson, libertà di movimento per tutte!”, scrive l’europarlamentare di Avs Ilaria Salis in un post su X condiviso dal gruppo The Left.
C’è stata, il mese scorso, una conferenza stampa alla Camera, in cui alcuni deputati e associazioni per i diritti umani hanno letto la lettera che l’attivista e regista curdo-iraniana Maysoon Majidi ha scritto al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, in cui chiede che la sua ‘situazione venga risolta con giustizia e umanità’: da otto mesi Majidi è detenuta in Calabria con l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina dopo essere sbarcata a Crotone, ed è in attesa del processo che è iniziato il 24 luglio. Majidi si dichiara innocente e da maggio ha iniziato uno sciopero della fame per protestare non solo contro queste accuse ma anche contro il rigetto della sua richiesta di ottenere gli arresti domiciliari in attesa del giudizio.
Majidi è accusata di essere una cosiddetta ‘scafista’, cioè di aver guidato l’imbarcazione su cui si trovava trasportando illegalmente in Italia decine di altre persone. Quella di scafista è una categoria contestata e problematica dal punto di vista giuridico: nella maggior parte dei casi chi guida le imbarcazioni sono semplici migranti, ma in Italia vengono perseguiti come se fossero trafficanti di esseri umani, cioè le persone che organizzano materialmente i viaggi. Negli ultimi mesi la storia di Majidi è stata descritta da molti giornali, associazioni per i diritti umani e politici come un esempio di un sistema di gestione dell’immigrazione non funzionante e che si accanisce sulle persone sbagliate e più fragili.
Majidi è fuggita dall’Iran, dove la minoranza curda di cui fa parte è perseguitata dal regime. Majidi aveva lasciato l’Iran nel 2019, dopo essere stata arrestata dal regime per via del suo attivismo e, secondo il suo avvocato, dopo aver subìto maltrattamenti e violenze in carcere. Insieme al fratello, come lei vittima di discriminazioni, Majidi si era rifugiata per qualche anno nel Kurdistan Iracheno, dove aveva continuato a fare attivismo soprattutto con l’associazione Hana, che si occupa di difesa dei diritti umani e che tra le altre cose ha avviato una campagna per chiedere la sua liberazione.
Majidi sarebbe partita verso l’Europa dopo che le era stato rifiutato il rinnovo del permesso di soggiorno in Iraq e dopo essere rimpatriata brevemente in Iran. Si sarebbe imbarcata insieme al fratello in Turchia, con un viaggio costato migliaia di euro e pagato dal padre, professore in Iran, e dopo cinque giorni di navigazione avrebbe raggiunto Crotone, dove poi era sbarcata ed era stata arrestata.
Majidi rischia fino a 16 anni di carcere, una multa di 15mila euro per ogni persona a bordo dell’imbarcazione su cui viaggiava (una settantina in tutto), e soprattutto il rimpatrio in Iran, cosa che secondo i suoi legali metterebbe a rischio la sua vita per via delle persecuzioni verso la minoranza curda. Questo anche perché il ‘decreto Cutro’ del governo di Giorgia Meloni lo scorso anno ha introdotto pene assai più severe per le persone accusate di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina: prima rischiavano fino a 5 anni di carcere, ora da 10 a 30 anni.
Mimmo Lucano e Ilaria Salis non credono ai giudici, che hanno chiesto il rinvio a giudizio per traffico di essere umani di Maysoon Majidi e ipotizzano un complotto geopolitico orchestrato dall’Iran, in quanto la donna ‘rappresenta la causa curda, è un’attivista per il rispetto dei diritti umani e si trova lei stessa coinvolta in una storia assurda’. Lucano non crede che esistano neanche gli scafisti, in generale. ‘Il fenomeno dello scafismo l’ho incontrato ancora prima di diventare sindaco di Riace. Penso che sia completamente inventato e che debbano trovare qualcuno da identificare come responsabile di un qualcosa che in realtà non è così. Hanno bisogno di qualcuno su cui costruire questo teorema accusatorio per giustificare azioni che non sono degne della giustizia. Non è una novità che gli scafisti vengono individuati in maniera approssimativa. Non c’è rispetto dei diritti umani se una persona, come Maysoon Majidi, si trova a subire tutto questo’.
Gli scafisti, come molte altre cose nel mondo dell’immigrazione, sono diventati un’etichetta che si appiccica su tutto senza dover fare troppo caso alla complessità. Arrestare gli scafisti è diventato il gesto minimo per non apparire buonisti e per dare una parvenza di “legalità” e di controllo: arrestare lo scafista è il modo semplice per offrire alla folla un presunto responsabile degli sbarchi, anzi molto spesso l’unico responsabile secondo la semplicistica narrazione.
Il circolo Arci Porco Rosso, che si trova nel multietnico quartiere di Ballarò a Palermo, e Alarm Phone (un progetto gestito dall’8 ottobre 2014 da volontari europei, tunisini e marocchini, che si impegna nel soccorso in mare dei rifugiati) hanno deciso di provare a vederci chiaro con un rapporto (‘Dal mare al carcere’) che denuncia la criminalizzazione dei cosiddetti scafisti incrociando i dati delle forze dell’ordine, delle dirette raccolte dalle due associazioni e dagli articoli di stampa. ‘L’Italia, l’Ue e l’Onu – spiegano gli autori del report – hanno sempre sostenuto che arrestare gli scafisti fosse un modo per combattere il traffico di esseri umani, al fine di prevenire le morti in mare. Ma questo report dimostra che la criminalizzazione degli scafisti ha effettivamente contribuito ad alcuni dei peggiori disastri marittimi della storia recente’. Si parte dall’analisi del reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina (l’art. 12 del Testo Unico Immigrazione previsto dall’ordinamento italiano al fine di scoraggiare, punire, reprimere gli ingressi in violazione delle norme che regolano l’ingresso regolare in Italia e, in tal modo, proteggere i confini dello Stato) che ‘punisce non solo chi promuove, dirige, organizza, finanzia il traffico di esseri umani, ma anche chi materialmente trasporta migranti sprovvisti di visto di ingresso, e, in generale, chiunque con il proprio comportamento faciliti l’ingresso illegale di stranieri in Italia o in altro Stato europeo’. Ne consegue che viene posto sullo stesso piano della presunta organizzazione ‘il membro dell’organizzazione di trafficanti e colui che guida l’imbarcazione, o tiene la rotta, a prescindere dalle circostanze e delle modalità che lo hanno spinto a ‘contribuire’ all’ingresso dei migranti nel territorio italiano’. Si capisce così come quello che interessa allo Stato italiano è far di tutto per evitare che persone senza visto di ingresso entrino in Italia e lo fa punendo chiunque contribuisca, volontariamente o no, al viaggio dei migranti verso il suo territorio. Nel report si scopre quindi che lo scafista può essere un ‘migrante- capitano forzato’ ‘spesso svolto da persone con pochissime, o quasi inesistenti, conoscenze del mare, costrette poco dopo la partenza a guidare l’imbarcazione’, come si legge nel report, attraverso la minaccia o l’esercizio di violenza: ‘i timonieri ci mostrano le cicatrici della violenza subita sulla spiaggia o sulla barca, oppure ci raccontano della violenza a cui hanno assistito quando altri passeggeri hanno rifiutato di svolgere quei ruoli’. C’è poi il ‘migrante-capitano per necessità’ che ‘ha dovuto gestire l’imbarcazione durante momenti di difficoltà e trauma collettivo’ oppure ‘ha dovuto prendere il timone durante i momenti più difficili della traversata, motivo per il quale è poi stato fermato dopo il soccorso’
C’è poi il ‘migrante-capitano retribuito’ che viene pagato per il limitato compito di guidare la barca senza avere a che fare con l’organizzazione del viaggio e con il sospetto ‘business’ della migrazione: ‘nei campi in Libia, – si legge nel report – prima della partenza, ci sono momenti di prova in cui i candidati per il ruolo devono dimostrare di avere le necessarie competenze, usando il motore allestito in un barile. Spesso la prova viene effettuata davanti agli altri passeggeri, una forma di auto-controllo sulla professionalità del capitano. Infine, notiamo che tutti questi capitani sono loro stessi migranti: il loro ruolo è parte del loro stesso progetto migratorio’. Tutte figure molto più complesse dello scafista integrato nell’organizzazione eppure spesso parificati con una colpevole semplificazione da parte delle istituzioni. Il report denuncia anche i ‘processi politicamente condizionati’ a cui questi cosiddetti scafisti vengono sottoposti: ‘nella caccia allo scafista, capro espiatorio a cui addossare ogni responsabilità, le garanzie processuali vengono meno e quei principi su cui dovrebbe fondarsi ogni procedimento penale vengono con leggerezza violati’.
‘Per dare un’idea di quello che spesso diventa un accanimento della Procura contro i presunti scafisti – dice il report – un’avvocatessa ha paragonato questi processi a una guerra che richiede una lucidità estrema perché di fronte si ha un avversario, la Procura, che non concederà niente, che chiederà il massimo possibile della pena e cercherà in tutti i modi di ottenerl