Con questa legge elettorale è impossibile dire chi sarà il premier. Con il Rosatellum, infatti, non è previsto un candidato premier visto che per procedere alla nomina del premier sarà necessaria una mediazione tra i partiti. Fatti salvi colpi di scena si parla di ‘capi di liste’ che possono avere anche diverse punte. Per il Pd si può parlare di Renzi, che è il capo lista, ma anche di Gentiloni, Delrio e Minniti. Il sistema di voto non prevede candidati premier.
Tuttavia il ‘candidato’ è importante lo stesso: se non come futuro primo ministro o leader, come testimonial. Serve a portare voti. I forzisti continuano a puntare su Berlusconi che, senza interventi da Strasburgo, ha la strada sbarrata dalla legge Severino. Berlusconi non solo è votato, è pure amato dalla gente, come afferma Giuliano Urbani, che di FI fu uno dei fondatori: ‘È lui il federatore della coalizione’.
Salvini, per contro, non si pone limiti. Sa che il suo nome ricompatta gli elettori sotto il simbolo di un partito che lui propone a livello nazionale e lancia la sfida al Cavaliere per Palazzo Chigi.
Cerca di ampliare la platea LeU puntando su Grasso, figuriamoci i Cinque Stelle: sondaggi alla mano, la candidatura di Di Maio serve anche a raccogliere voti. È una candidatura vera, fanno notare dalle parti di M5S. Dove sottolineano il messaggio di ‘chiarezza e trasparenza’ della scelta di indicare una squadra di ministri prima del voto, che altre coalizioni non si possono permettere.
Di Maio deve fare i conti con il paradosso di una designazione che rischia di essere un limite più che un vantaggio. Non basta additare la legge elettorale per spiegare la contraddizione: si chiude una parabola iniziata nel ’94, quando il sistema ha finto che ci fosse una elezione diretta costituzionalmente inesistente.