Dinanzi ai giudici della Corte di Giustizia Europea si discute del protocollo Italia Albania che, ratificato dal Parlamento italiano con legge 14/2024, ha istituito centri per il trattenimento e il rimpatrio in territorio albanese, ma sotto giurisdizione italiana.
A Lussemburgo si è celebrata l’udienza orale della Corte di giustizia europea sui rinvii dei tribunali italiani che hanno bloccato di fatto il progetto dei centri in Albania. I tempi sono ancora lunghi e forse l’unica notizia del giorno è che la Commissione Ue ha deciso di schierarsi sulle posizioni italiane, modificando la sua precedente opinione. “La Commissione europea è disposta ad accettare che la direttiva 2013/32” sulle procedure d’asilo “consenta agli Stati membri di designare Paesi d’origine come sicuri” anche “prevedendo delle eccezioni per categorie di persone”, ha detto l’avvocato dell’esecutivo Ue Flavia Tomat durante l’udienza. Per Bruxelles le norme “non impediscono di designare un Paese d’origine come sicuro quando la sicurezza non è garantita” nel suo complesso “per determinate categorie di persone”, precisando solo che questi gruppi devono “essere ben identificabili”. Ma la querelle sui Paesi d’origine sicuri non è l’unico ostacolo per i centri oltre l’Adriatico. A denunciare violazioni è un rapporto del Tavolo asilo e immigrazione (Tai) al quale hanno preso parte le delegazioni che hanno seguito i tre trasferimenti di migranti a ottobre, novembre e gennaio, in collaborazione con il gruppo di contatto sull’immigrazione del Parlamento. Il rapporto evidenzia in particolare violazioni nelle procedure di screening, detenzione e accesso alla difesa dei richiedenti asilo. Elementi che la questione dei Paesi sicuri ha lasciato sullo sfondo ma che non sono meno sostanziali per il rispetto del diritto comunitario e non solo.
Il caso dibattuto in apertura riguarda due cittadini del Bangladesh, la cui richiesta di protezione è stata respinta dalla Commissione territoriale di Roma, poiché il Bangladesh è stato disegnato Paese sicuro da un decreto interministeriale del maggio 2024, poi sostituito nell’ottobre successivo dal cosiddetto “dl Paesi sicuri”.
La sezione immigrazione del Tribunale civile di Roma con due ordinanze di rinvio pregiudiziale aveva chiesto alla CGUE di rispondere sostanzialmente a quattro domande: il diritto dell’Unione osta a che un legislatore nazionale proceda anche a designare direttamente, con atto legislativo primario, uno Stato terzo come Paese di origine sicuro? Quali garanzie procedurali devono esserci per verificare le fonti usate per questa decisione? Qual è il ruolo delle autorità giurisdizionali nel verificare la situazione del Paese interessato? Un Paese può essere definito sicuro se non lo è per alcune categorie di persone?
La decisione è attesa prima dell’estate e avrà importanti ricadute sulla immagine della politica migratoria del Governo e sul rapporto tra Palazzo Chigi e maggioranza da un lato e magistratura dall’altro.
La magistratura è stata accusata di voler sconfessare le leggi emanate dell’Esecutivo in materia, in pratica di voler far politica, mentre i giudici si sono sempre difesi sostenendo il primato della normativa dell’Unione Europea su quella nazionale. In Parlamento si è arrivati persino ad emanare una norma che ha privato della competenza in materia le toghe dei Tribunali civili per trasferirle alle Corti di Appello e un’altra che ha stabilito con legge primaria la lista dei cosiddetti Paesi sicuri. Su questo tema sono pendenti altri rinvii presentati da vari tribunali italiani, tutti sospesi in attesa della decisione su queste cause.
Niente sentenza a Lussemburgo. Per quella si dovrà aspettare la fine di maggio, almeno, mentre il 10 aprile l’avvocatura generale depositerà le sue conclusioni. Quelle che si sono svolte oggi sono una serie di audizioni per consentire ai 15 giudici di approfondire le posizioni in campo a beneficio della futura decisione sui quattro quesiti oggetto dei due rinvii sotto esame, quelli del Tribunale di Roma in merito ai ricorsi di due cittadini del Bangladesh che in Albania avevano vista respinta la loro domanda d’asilo. In base all’accordo con Tirana, in Albania si fanno solo procedure d’asilo accelerate e per accedervi i migranti devono originare da Paesi che il governo considera sicuri in base alla normativa Ue
Intanto fino ad ora tutti i migranti, poco più di cinquanta, che sono stati portati oltre l’Adriatico sono rientrati dopo 48 ore in Italia perché i giudici nazionali hanno respinto o sospeso i trattenimenti disposti dai Questori. Dalle opposizioni in Parlamento è stato dunque facile parlare di fallimento del protocollo e di spreco di denaro pubblico, mentre dal Governo sono fiduciosi che la CGUE in qualche modo rafforzerà il potere dei singoli Stati di designare direttamente i Paesi sicuri con normativa primaria, limitando molto la discrezionalità dei magistrati.
Per la presidente del Consiglio «sarà importante su questo fare chiarezza e l’auspicio è che la Corte di Giustizia e l’Unione europea scongiuri il rischio di compromettere le politiche di rimpatrio, non solo dell’Italia ma di tutti gli stati membri dell’Unione europea», aveva ribadito una settimana fa nel suo intervento alla Conferenza dei prefetti e dei questori d’Italia presso la Scuola Superiore Amministrazione dell’Interno. Al contrario, all’interno della magistratura sono convinti che la CGUE confermerà, come già stabilito da una direttiva e da una pronuncia del 4 ottobre, il primato del diritto sovranazionale.