Il Pd scosso dai falsi votanti per il congresso siciliano, con frattura tra Schlein e Conte: ‘Dubbi sulla leadership di Elly’

Il 27 gennaio scorso ci fu lo scrutinio che  doveva stabilire le regole dell’assemblea regionale Pd sulle primarie aperte per l’elezione del segretario al congresso.  Si stabilì con quel voto, che  doveva essere votato solo dagli iscritti, che c’era  un solo candidato al congresso del Pd in Sicilia, il segretario uscente Anthony Barbagallo. Iniziano le assemblee come prevede l’articolo 17 del regolamento ma tutta la vicenda resta sul tavolo del Pd e della Schlein. Secondo gli oppositori di Barbagallo, però, quel regolamento era stato approvato in una seduta online a cui partecipavano alcuni account dalle caratteristiche dubbie, come viene spiegato da il “Fatto Quotidiano“, che analizza il caos nel quale è precipitato il Pd siciliano, alle prese con il braccio di ferro tra i fedelissimi della Schlein e l’asse “Bonaccini-Orfini”, una sfida alla leadership che potrebbe rivoltarsi anche sul Pd nazionale.

“C’erano 206 persone collegate: 88 facevano parte dell’assemblea e avevano diritto di voto; 65 non erano componenti dell’assemblea e quindi non potevano votare e 52 si sono collegati con profili falsi e non identificabili, come ‘Merlo’, ‘Gatto nero’ e ‘Utente zoom‘, hanno denunciato gli eletti Pd all’Ars. L’accusa netta e pesante: ‘Non parteciperemo a un congresso frutto di forzature e brogli, il Pd non è una loggia massonica’, ha attaccato il deputato regionale Fabio Venezia…’.

Nico Stumpo, il commissario siciliano, tenta di raffreddare il tutto: “Il mio augurio è che l’inizio dei congressi possa riconsegnare un clima di serenità e che si svolga tutto nel migliore dei modi,  spero che tutti si ricordino che, a prescindere dalle candidature, il partito è uno: ci si può dividere ma il percorso e l’idea comune deve essere quella di programmare, in questo congresso, un progetto per la Sicilia e per i siciliani, per rilanciare il partito democratico e candidarsi alla guida della Sicilia e fare un dibattito interno sui dirigenti del Pd, a mio avviso questa è la parte meno importante”

Ma a nulla servirà la celebrazione del congresso regionale del Pd senza opposizione. “Schlein deve sapere che non possiamo partecipare ad un congresso farsa, dove le regole sono state stabilite da Roma – ha detto il capogruppo del Pd all’Ars Michele Catanzaro  in una conferenza stampa – . Ci troviamo di fronte ad una situazione davvero insopportabile, non è più possibile continuare a sostenere una sordità da parte della segreteria nazionale Schlein”, riporta  La Sicilia. La minoranza annuncia la presentazione del ricorso, alla commissione di garanzia del partito, per annullare degli atti dal 27 gennaio ad oggi, compresa l’indizione del congresso stesso.

Riguardo Elly Schlein e  Giuseppe Conte e Elly Schlein la frattura tra i due è ormai evidente e molto difficile da mascherare. Il leader del Movimento 5 Stelle, in una conversazione con Il Foglio, ha lasciato intendere che persino dentro il Partito Democratico ci siano dubbi sulla candidatura della segretaria come possibile premier in una futura coalizione progressista: «Mi dicono che hanno dei dubbi anche nel Pd».

Il messaggio t è apparso chiaro: nemmeno tra i dem ci sarebbe una piena fiducia nella leadership di Schlein. Il Movimento ha poi parlato di “dichiarazioni fraintese”, ma le frizioni tra i due principali partiti di opposizione restano.

La sinistra si presenta al momento come un’alleanza instabile, divisa su quasi ogni questione politica. Non si tratta solo delle distanze tra Carlo Calenda, Matteo Renzi e i rossoverdi Fratoianni e Bonelli. Il vero nodo sembra essere la mancanza di una direzione comune tra il Pd e i 5 Stelle, gli unici due partiti con una forza elettorale tale da poter tentare di contendere il governo alla coalizione guidata da Giorgia Meloni.

I pentastellati vogliono imporre la loro agenda e  i democratici spesso sono pronti a fare concessioni che rischiano di snaturare la propria identità e la collaborazione si regge su un equilibrio fragile. Alcuni osservatori parlano apertamente di un Partito Democratico che ha sacrificato la componente riformista e centrista pur di tenere insieme l’alleanza con i 5 Stelle.

Nonostante i sondaggi continuino a premiare il centrodestra, che da quasi tre anni mantiene percentuali stabili, l’opposizione non riesce a costruire un’alternativa credibile e compatta. La sensazione è che i due leader agiscano più come rivali che come alleati. E così, mentre la maggioranza procede con il suo programma, la sinistra continua a cercare un’identità condivisa che, per ora, appare lontana.

L’appuntamento “Spazio cultura”, organizzato da FdI a Firenze, moderato dal direttore dell’Adnkronos Davide Desario, ha visto protagonisti Arianna Meloni e Giovanni Donzelli, che hanno ribadito l’intenzione del partito di spezzare quella che definiscono una storica egemonia culturale della sinistra. Mentre Giorgia Meloni è sotto attacco per aver impugnato la legge toscana sul fine vita, la sorella della premier ha lanciato una chiara stoccata al Partito Democratico.

Nel corso del dibattito, Arianna Meloni, responsabile della segreteria politica di Fratelli d’Italia, ha affermato con decisione: “La grande novità del governo Meloni è che noi vogliamo una cultura libera. Una cultura libera di esprimersi senza la necessità di avere la tessera del Pd in tasca”.

Ha poi affrontato il tema della crisi culturale, collegandolo all’ascesa di Donald Trump: “Ci ha abituato a modi poco convenzionali ma trovano il tempo che trovano. Guardiamo i fatti: Trump stravince, vince con il voto popolare”, ha dichiarato, spiegando che il successo del presidente statunitense si deve anche a una reazione contro “l’ideologia woke, la negazione dei valori fondamentali dell’essere umano”.

«È esistita una Cultura di sinistra oggettivamente potente, coerente ed organica, quella gramsciana, bisogna dargliene atto. Ma c’è stata anche, progressivamente, una erosione dal momento in cui si e’ generato il divorzio tra consenso e potere». Parla con parole nette il ministro della Cultura, Alessandro Giuli e lo fa in un intervista con la giornalista Rao, Incoronata Boccia: ‘Tra consenso e potere la sinistra ha scelto il secondo. Avevano gli intellettuali e se li sono persi, si sono affidati agli influencer e poi hanno scoperto che anche loro erano dei quattrinari. Gli sono rimasti solo i comici, ormai», ha ironizzato il ministro.

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