Il Papa: a 50 anni dal ’68 si erigono nuovi muri anziché ponti

Il Papa ragiona sull’eredità del Sessantotto nel messaggio che il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, ha indirizzato a nome del Pontefice al vescovo di Rimini, mons. Francesco Lambiasi, in occasione della 39esima edizione del Meeting per l’amicizia fra i popoli di Comunione e liberazione che si apre oggi sul tema “Le forze che muovono la storia sono le stesse che rendono l’uomo felice”.

“Che ne è stato di tale tentativo? Che cosa è rimasto di quel desiderio di cambiare tutto? Non è questa la sede per un bilancio storico, ma possiamo riscontrare alcuni sintomi che emergono dalla situazione attuale dell’Occidente. Si torna ad erigere muri, invece di costruire ponti. Si tende ad essere chiusi, invece che aperti all’altro diverso da noi. Cresce l’indifferenza, piuttosto che il desiderio di prendere iniziativa per un cambiamento. Prevale un senso di paura sulla fiducia nel futuro. E ci domandiamo se in questo mezzo secolo il mondo sia diventato più abitabile. Questo interrogativo riguarda anche noi cristiani, che siamo passati attraverso la stagione del ’68 e che ora siamo chiamati a riflettere, insieme a tanti altri protagonisti, e a domandarci: che cosa abbiamo imparato? Di che cosa possiamo fare tesoro?”

. Nel frangente del ’68 “la rottura con il passato divenne l’imperativo categorico di una generazione che riponeva le proprie speranze in una rivoluzione delle strutture capace di assicurare maggiore autenticità di vita. Tanti credenti cedettero al fascino di tale prospettiva e fecero della fede un moralismo che, dando per scontata la Grazia, si affidava agli sforzi di realizzazione pratica di un mondo migliore”, nota Parolin a nome del Papa. “Per questo – prosegue il messaggio – è significativo che, in quel contesto, a un giovane tutto preso dalla ricerca delle ‘forze che dominano la storia’, Don Giussani (fondatore di Cl, ndr.) disse così: ‘Le forze che muovono la storia sono le stesse che rendono l’uomo felice’. Con queste parole lo sfidava a verificare quali siano le forze che cambiano la storia, alzando l’asticella con cui misurare il suo tentativo rivoluzionario”. Per il cristiano, oggi, “non si tratta di ritirarsi dal mondo per non rischiare di sbagliare e per conservare alla fede una sorta di purezza incontaminata, perché ‘una fede autentica … implica sempre un profondo desiderio di cambiare il mondo’, di muovere la storia, come recita il titolo del Meeting”.

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