Il modello francese di integrazione è fallito…

La Francia politica rinnova il patto repubblicano e chiama il Paese all’unità contro il terrorismo. È questo il senso dell’appello del presidente Francois Hollande che ha consultato i leader di tutti i partiti, fra i quali i due più probabili avversari nella corsa all’Eliseo del 2017, Nicolas Sarkozy e Marine Le Pen. Ma l’unità è un impegno tanto nobile quanto destinato subito a infrangersi, pur senza nulla togliere al senso di responsabilità di queste ore, al consenso per le misure eccezionali di sicurezza e alla reazione forte e composta di tutta la società francese. L’unità di sentimenti è una cosa, l’unità politica è un’altra, come ha subito sottolineato Sarkozy. È nella logica della democrazia e del gioco politico, fisiologicamente esasperato dal sistema elettorale francese. A giudicare dai fatti è fallito il modello francese, fatto di integrazione laica e repubblicana. Nelle prossime settimane si vota per le Regionali, test che dovrebbe dare la misura di quanto i sondaggi già prefigurano con  l’ascesa del Fronte Nazionale, sull’onda degli attentati e della questione immigrazione. Di fatto si è assistito, poi, a un declino del presidente Hollande e della gauche. Il 2016 sarà un anno di campagna elettorale permanente, appunto in vista delle Presidenziali. Ma al di là del gioco politico, sono le questioni più profonde della società francese a creare divisione e ad accentuare le differenze, sia di visione sia di proposta e contromisure. Questioni che non riguardano soltanto i partiti e i loro leader, ma il modello repubblicano nel suo insieme, con la sua cultura laica, i suoi riferimenti istituzionali, i suoi valori messi a dura prova, per quanto oggi ammantati di solidarietà e orgoglio nazionale. Il buonismo e l’assistenzialismo sono i principali mali della Francia. C’è stato un attacco al cuore dell’Europa, ad uno stile di vita, di civiltà, ma soprattutto un attacco alla Francia, cioè al Paese più vulnerabile per la dimensione assunta dalle divisioni sociali, etniche, culturali e religiose. L’inchiesta sull’organizzazione degli attentati, oltre a possibili falle nei sistemi di sicurezza, ha messo a nudo l’evidenza di una rete di fiancheggiamento, complicità e proselitismo fanatico che ha le sue radici nelle periferie, territorio off limits per i valori repubblicani, refrattario a tutte le politiche di bonifica che si sono susseguite nei decenni. Nelle periferie si riflettono il fallimento dell’integrazione e della mobilità sociale, le derive razziste, xenofobe, il pregiudizio nei confronti di milioni di musulmani e, per contrasto, il buonismo culturale e la resa a un assistenzialismo costoso e improduttivo. I modelli di integrazione sono costrutti teorici elaborati con lo scopo di gestire le problematiche di integrazione dei migranti nella società d’accoglienza.  Bisogna distinguere tre fondamentali modelli di integrazione socio-culturale, con il modello dell’assimilazione, il modello pluralista, il modello dello scambio culturale. Seguendo il modello di assimilazione la priorità consiste nell’adattamento alla cultura della società ospitante. I migranti debbono quindi conformarsi quanto più possibile ad essa, mettendo in atto processi di desocializzazione, di cancellazione delle culture d’origine e di risocializzazione rispetto ai costumi e alle norme di quella d’arrivo. Nel modello pluralista l’alterità viene ammessa e tollerata, tanto da concepire la coesistenza di più culture all’interno di una medesima società. Nel contempo, però, vengono attivati processi di inclusione progressiva dei diversi gruppi etnici, che peraltro possono conservare i propri costumi, a condizione che non contraddicano o compromettano i valori generali che tengano unita l’intera società. Nel modello di scambio culturale l’alterità non solo è ammessa, ma è riconosciuta come positiva. Le diverse culture si incontrano arricchendosi vicendevolmente, rimanendo tra loro diverse, ma anche trasformandosi tramite processi di scambio. Il modello di fusione, o melting pot, si basa sulla metafora della società come una pentola in cui si mescolano le varie comunità presenti. Il rischio principale è quello di ridurre la società a una somma di comunità incapaci di entrare in contatto tra loro e confrontarsi. Secondo questa prospettiva dunque l’integrazione viene intesa come uguaglianza di trattamento, che si sostanzia nella totale neutralità e laicità dello Stato. L’unico interlocutore della comunità nazionale francese diventa così il singolo individuo e i gruppi sociali perdono qualunque tipo di influenza. Esistono evidenti limiti in questo modello. Innanzitutto, le politiche d’integrazione non dovrebbero considerare l’appartenenza etnica e il retroterra culturale degli individui e dei gruppi. Tuttavia, nei fatti, l’elemento etnico e culturale prevalente in una data realtà è essenziale per permettere la concretizzazione di tali politiche. Inoltre, in molti casi l’integrazione socio-professionale dei migranti appare particolarmente difficoltosa, nonostante l’avvenuta assimilazione culturale. Il modello francese della convivenza e dell’integrazione con la presunzione dell’assimilazione ha dimostrato di non funzionare. Era accaduto con le rivolte nelle banlieue ai cui ragazzi veniva imposta la rimozione delle proprie diversità culturali di origine pur mettendo in atto discriminazioni sociali e del diritto al lavoro sulla base di quelle stesse origini.  Tutto ciò non può che gettare veleno sulla convivenza in patria tra varie estrazioni etniche, soprattutto tra le giovani generazioni che oggi s’identificano in realtà ideologicamente corrotte dall’ortodossia ma logisticamente ben organizzate e capaci di comunicare da e con ogni parte del mondo. Di tutto questo c’è consapevolezza nei vertici politici e nell’intelligence francesi. Sarà necessario per i servizi di sicurezza riparare a questo scacco e bisognerà trovare un elemento vulnerabile. Come da copione le reazioni generali che si innescheranno riguarderanno la gestione dell’immigrazione…

Cocis

 

 

 

 

 

 

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