“Il grande vuoto” | Teatro Bellini, dal 5 al 10 novemb

Terzo capitolo della Trilogia del Vento

Il Grande vuoto indaga l’ultimo pezzo di strada che una famiglia percorre prima di svanire nel vuoto e, questo dissolversi, è amplificato dal progressivo annientamento delle funzioni cerebrali della madre a causa di una malattia neurodegenerativa. Al progressivo svuotarsi del cervello della madre fa eco lo svuotarsi di esseri umani dalla casa, mentre questa si popola di oggetti, di ricordi che aumentano pesano e riempiono tutte le stanze. Il lavoro trova risonanze e spunti in “Una donna” di Annie Ernaux, e nel romanzo “Fratelli” di Carmelo Samonà ed è il tentativo di raccontare una grande storia d’amore: quella tra una madre, i suoi figli e un padre che muore.

Ne Il Grande vuoto la narrazione teatrale si contamina con il video per raccontare che grazie alle fotocamere Tapo e i loro video ad alta risoluzione con visione notturna fino a trenta piedi, un* figli* può continuare a vivere la propria vita ed entrare senza essere visto in quella del proprio genitore. Guardare la madre giocare al solitario, fissare la televisione spenta, parlare con persone che non esistono, non farsi il bidet, piangere, stare seduta e ferma sul bordo del letto, passare la notte a tirare fuori dai cassetti fotografie pezzi di carta mutande sporche per poi rimetterli dentro.

Tante le domande che ci hanno spint* a sprofondare in questa materia artistica, ad addentrarci in questa ricerca su cosa rimane di noi e se resta qualcosa di quello che siamo stat* mentre ci approssimiamo alla fine, ma una su tutte è forse la più incandescente bella e giusta per il lavoro ed è quella letta in un fumetto della autrice Giulia Scotti: “il punto è trasformare il dolore in bellezza. Ci riusciremo ancora?”

Trilogia del vento

La Trilogia del vento è un trittico in cui Fabiana Iacozzilli si interroga su tre tappe dell’esistenza umana: l’infanzia e il rapporto con i maestri che ci mostrano o ci impongono delle vie da percorrere (La classe); la maturità e il rapporto con la genitorialità e la cura (Una cosa enorme) e, infine, la vecchiaia in rapporto con il vuoto e il senso della memoria (Il grande vuoto). I punti di partenza sono stati da un lato – e per la prima volta – il dato biografico dell’autrice e dall’altro il lavoro di nutrimento della materia artistica, condotto attraverso le interviste a donne e uomini pront* a condividere una scheggia della propria vita.

Fabiana Iacozzilli

Fabiana Iacozzilli, regista-drammaturga porta avanti un lavoro di ricerca improntato sulla scrittura scenica e sulle potenzialità espressive della figura del performer. Collabora dal 2013 con il Teatro Vascello di Roma e dal 2017 con Cranpi e Carrozzerie | n.o.t.

Nel 2002 si diploma come regista presso l’Accademia “Centro internazionale La Cometa” dove studia tra gli altri con N. Karpov, N. Zsvereva, A. Woodhouse. Dal 2003 al 2008 è regista assistente di P. Sepe e Luca Ronconi, nel 2008 fonda Lafabbrica, compagnia della quale è direttrice artistica dal 2008 al 2018. Nel 2011 viene selezionata per partecipare al DIRECTOR LAB, progetto internazionale organizzato dal LINCOLN CENTER (Metropolitan di New York). Dallo stesso anno diventa membro del LINCOLN CENTER DIRECTORS LAB.

Tra i suoi spettacoli: Aspettando Nil con il quale vince l’Undergroundzero Festival di New York; La trilogia dell’attesa, vincitrice del Play Festival (Atir e Piccolo Teatro di Milano-Teatro d’Europa); Quando saremo grandi!, finalista Premio Scenario 2009; Da soli non si è cattivi. Tre atti unici dai racconti di Tiziana Tomasulo; La classe; Una cosa enorme. Nel 2021 è stata una dei tre registi coinvolti nel progetto Incroci, nato dal dialogo tra tre realtà nazionali che coinvolgono migranti: Teatro Magro-Mantova, Asinitas-Roma e Babel Crew/Progetto Amunì-Palermo. Con Il grande vuoto, in prima nazionale al Romaeuropa Festival, completa la Trilogia del Vento avviata con La Classe presentato al Romaeuropa Festival nel 2018 nell’ambito di Anni Luce.

 

Note di regia

Tante le domande che ci hanno spint* a sprofondare in questa materia artistica, a addentrarci in questa ricerca su cosa rimane di noi, e se continua ad esistere qualcosa di quello che siamo stat* mentre ci approssimiamo alla fine della vita. Ma una su tutte è forse la più adatta a questo lavoro ed è quella letta in un fumetto dell’autrice Giulia Scotti: “il punto è trasformare il dolore in bellezza. Ci riusciremo ancora?”

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