Il Flauto Magico, commistione di arti al Teatro dell’Opera di Roma

Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Loredana Margheriti la ecensione su ‘Il Flauto Magico’ in scena fino al 17 ottobre al Teatro dell’Opera di Roma.

Il Flauto Magico, commistione di arti al Teatro dell’Opera di Roma

 

 

In coda alla Stagione 2017/2018, il Teatro dell’Opera di Roma propone Il Flauto Magico (Die Zauberflöte) di Wolfgang Amadeus Mozart, opera in due atti con libretto di Emanuel SchikanederLa regia è di Barrie Kosky e Suzanne Andrade della compagnia “1927”, anno del primo film sonoro “Il cantante di jazz”, con i video di Paul Barritt, si tratta di un allestimento che debuttò alla fine del 2012 alla Komische Oper di Berlino. Direzione del Maestro Henrik Nánási.

La profondità del palco viene compressa da un grande schermo: la tela che darà vità alla fiaba mozartiana. L’opera si trasforma in cinematografo, i protagonisti richiamano personaggi del cinema degli anni ’20 così come la grafica e le parti testuali del Singspiel che non vengono più recitate dai cantanti, ma proiettate nero su bianco.

Lo schermo rivela delle sorprese, strette finestre rotanti che fanno apparire i personaggi fissati alla parete per esigenze registiche, per permettere la loro integrazione nella proiezione la precisione è millimetrica.

Il principe Tamino (Juan Francisco Gatell) è pienamente nel ruolo sia vocale che interpretativo, il suo flauto magico scompare nella dimensione fisica ed è trasformato in danzanti note musicali sullo schermo, stesso meccanismo toccato al glokenspiel di Papageno (Alessio Arduini) un Buster Keaton redivivo, molto espressivo ed ironico come richiede la scrittura del personaggio, che ha deposto le gabbie per la cattura degli uccelli e si è ritrovato con un simpatico ed enigmatico gatto nero.

Astrifiammante, la regina della notte (Christina Poulitsi) un’aracnide con il corpo da scheletro, molto apprezzata dal pubblico che le ha tributato generosi applausi a conclusione delle sue arie O zittre nicht, mein lieber Sohn e Der Hölle Rache kocht in meinem Herzen. Picchettati eccellenti, terzinato preciso e fa sopracuti completamente centrati.

Le tre dame (Louise Kwong, Irida Dragoti, Sara Rocchi provenienti dal progetto “Fabbrica” Young Artist Program del Teatro dell’Opera di Roma risultano ben integrate vocalmente e molto ironiche.

A Monostato (Marcello Nardis) la scelta registica impone una pelle bianca, vampiresca, chiaro richiamo al personaggio di Nosferatu, rivelando un’incongruenza con il libretto che parla di un uomo dalla pelle nera attratto fisicamente da Pamina, principessa candida, dalla pelle di luna.

Per Pamina (Amanda Forsythe) grande governo del mezzo vocale, ha saputo regalare un’interpretazione delicata e romantica, ma al tempo stesso consapevole della sua aria principale Ach, ich fühl’s, es ist verschwunden.

Pienezza vocale e grande sonorità per Sarastro (Gianluca Buratto), buonissima la sua esecuzione di O Isis un Osiris, prezioso il richiamo a Fritz Lang e al suo Metropolis con l’etrata in scena da umanoide meccanico.

Da considerare le difficoltà fisiche che hanno incontrato i cantanti, nello stare in bilico su piccole mensole sospese a quasi tre metri di altezza, ne risulta a tratti mortificata l’interpretazione perché costretti alla quasi immobilità, ci si riduce ad un’espressività facciale che però è più evidente al cinema che a teatro visti gli spazi ampi e la conseguente lontananza dal pubblico in sala.

Assistendo ad uno spettacolo del genere si corre il rischio di veder passare in secondo piano l’aspetto musicale dell’opera, in questo caso invece c’è una completa sinergia tra tutti gli elementi. Si ha la sensazione di essere trasportati in una dimensione sospesa dove gli anni ’20 del cinematografo si amalgamano perfettamente con la musica e le tematiche settecentesche di Mozart.

Rimangono i rimandi massonici, iconografici, proiettati, criptici come sempre.

Fino al 17 ottobre al Teatro dell’Opera di Roma.

Loredana Margheriti

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