Gianni Alemanno rivendica, a torto, di essere sceso ‘dal carro dei vincitori’ di Giorgia Meloni, annunciando di aver creato un nuovo movimento che lancerà e presenterà nel prossimo autunno. In realtà sul carro dei vincitori Alemanno non è mai salito, visto che la Meloni non ha mai considerato una simile, anche se remota, opportunità. Alemanno, che un tempo saliva sulle sedie per reclamare spazio, ha intenzione di scavalcare a destra la premier.
‘C’è chi sale e c’è chi scende quando vedi che il carro del vincitore non va nella direzione giusta. E questa è la sensazione netta che noi abbiamo avuto in questo anno, prima ancora delle elezioni, e purtroppo si sta confermando. Io condivido tutta la speranza sul cambio di linea politica da parte del governo, sarebbe un disastro se questo governo andasse a sbattere e dovesse arrivare un nuovo governo tecnico imposto dall’alto’, ha affermato Alemanno nel suo intervento di chiusura, trasmesso su Facebook, a ‘Orvieto ’23-Forum dell’indipendenza italiana’, evento a cui hanno preso parte oltre 30 associazioni: ‘Abbiamo il dovere di dire le cose come stanno con voce chiara e ferma, e siccome non c’è spazio nei partiti per dire quello che si pensa, siamo qua fuori dai partiti a dire come la pensiamo e a dire che se le aggregazioni saranno adeguate, e se dall’interno del governo di centrodestra non ci ascolteranno, e continueranno su questa strada, noi in autunno siamo pronti a lanciare un movimento politico. Questa volta non ci saranno compromessi. Garantisco, ci metto questa faccia, che questa volta non torneremo indietro’.
Alemanno critica il Governo e prospetta la possibilità di scavalcare a destra Giorgia Meloni, ex sodale di militanza che ora siede a Palazzo Chigi, raccogliendo umori e malumori su questioni quali la guerra in Ucraina, i rapporti con Stati Uniti e Unione europea, ma anche le questioni di genere, l’autonomia differenziata e il salario minimo.
‘Colonnello’ ai tempi di Alleanza Nazionale di Gianfranco Fini, Alemanno ha scritto: ‘Rappresentano la destra diffusa, e i mondi del dissenso che vogliono cambiare l’Italia, liberarla da ogni sudditanza e ridare dignità e lavoro a tutti i cittadini’.
Alla riunione di Orvieto, hanno partecipato Vittorio Sgarbi (in videocollegamento) e il filosofo ‘dissidente’ Diego Fusaro, ma anche Ugo Mattei, una delle voci contro l’obbligo vaccinale, il green pass e l’invio di armi in Ucraina, l’ex senatore della Lega Simone Pillon, campione dei Family day, così come gli europarlamentari del partito di via Bellerio Antonio Rinaldi e Marco Zanni.
Sarà una Nuova Destra 2? La Nuova Destra è stata un movimento non omogeneo che, a partire dagli anni 70, era diviso in varie scuole di pensiero, con omonima corrente, centrata intorno alla rivista Diorama letterario, diretta dal politologo Marco Tarchi. All’epoca coniugò i temi tipici della destra con l’ecologismo (la preservazione dell’ambiente come tradizione), il regionalismo (a tutela delle identità culturali dei vari popoli autoctoni), il socialismo (difesa delle fasce deboli ed interclassismo), il federalismo (contrapposto al centralismo tipico della destra) e il comunitarismo (in sostituzione all’individualismo). Il tutto nacque dalle idee del movimento francese, importante per l’Italia un articolo di Stenio Solinas, apparso sul quotidiano Roma di Napoli, il 21 giugno 1977, che diede al movimento una figliolanza italiana. Solinas propose il ritratto del nuovo militante di destra: ‘Il ritratto di una gioventù decisamente rivoluzionaria, che si trova a disagio con il binomio ordine-legalità; che ce l’ha più con il sistema che con il comunismo; che sogna un repulisti generale, ma che sa, alla fin fine, che tutte le rivoluzioni vengono tradite. È gente che per maestri scelse Codreanu ed Evola, gli antichi codici d’onore ed il gusto dell’intransigenza; che stima Drieu La Rochelle perché con il suo suicidio onorò una firma, e Pound che con il suo silenzio disprezzò il mondo, nel rifiuto di un’epoca e di una mentalità, di un regime e di un sistema, molto più vicini alla frange dell’estremismo indiano di quanto non pensassero: negli altri c’è lo stesso senso di impotenza, lo stesso clima di emarginazione, la stessa consapevolezza della ghettizzazione. Il mondo giovanile è una polveriera e gli artificieri possono arrivare da qualsiasi parte. Il movimento, sin alla fine degli anni settanta, prese iniziative volte inizialmente a svecchiare la cultura della destra radicale (Tarchi era dirigente fino al 1981 al Movimento Sociale Italiano ed è tra i primi a promuovere l’uso di tale termine, simmetrico a quello di sinistra radicale, rispetto alla definizione allora comune di ‘estrema destra’), per poi abbandonare definitivamente il neo-fascismo, e ricercare nuove sintesi culturali che potessero oltrepassare i confini del concetto di destra politica in generale. La Nuova Destra rifiuta il nazionalismo estremo e lo sciovinismo, sostenendo invece il federalismo europeo. Netta è la distanza anche rispetto alla destra filostatunitense, accusata di imperialismo culturale, militare ed economico. Agli inizi degli anni ottanta, rotti definitivamente i legami con l’MSI, Tarchi organizzò un serrato confronto dialettico con esponenti del mondo culturale, accademico e giornalistico esterno al panorama tradizionale della destra: Tarchi si confrontò spesso, ad esempio, con pensatori di sinistra come Giampiero Mughini e Massimo Cacciari e con il giornalista Massimo Fini in dibattiti organizzati da circoli neodestristi. I neodestristi fautori del pensiero della ‘rivoluzione conservatrice’ ebbero anche dialoghi e collaborazioni incrociate in sede di pubblicazione con esponenti più eterodossi della sinistra quali il comunitarista Costanzo Preve e lo storico anticapitalista Giorgio Galli. La Nuova Destra si occupò principalmente di ambientalismo, identità, comunitarismo, anti-imperialismo, paganesimo, rifacendosi ad alcune delle elaborazioni filosofiche di Alain de Benoist, fondatore del Groupement de Recherche et d’Études pour la Civilisation Européenne (GRECE). La relativa esperienza fu dichiarata ufficialmente conclusa da Marco Tarchi nel 1994, dopo quasi vent’anni di esistenza in cui animò alcuni incontri e pubblicazioni. Marco Tarchi, politologo, professore alla Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Firenze, per lungo tempo impegnato attivamente a destra, è stato tra i punti di riferimento più autorevoli della Nuova Destra italiana. Voce spesso critica e dissonante, negli ultimi anni si è occupato in particolare modo di studiare le forme del populismo in Italia e non solo. Destra nazionale nel 1972, Costituente di destra quattro anni dopo, svolta di Fiuggi e Alleanza nazionale nel 1995, confluenza nel Popolo delle libertà nel 2009, infine formazione di Fratelli d’Italia. Nel periodo dell’abbraccio con Berlusconi e alla successiva diaspora con la fine del Pdl, solo l’esperienza di Fdi ha avuto fortuna tanto che la maggior parte di chi aveva scelto altre strade è poi tornato a quella che oggi sembra la casa unica della destra postmissina. Molto ha voluto dire il recupero del simbolo della fiamma, giocato come un atto di sfida verso la pretesa di Berlusconi e dei suoi di assorbire e liquidare una storia (grazie anche ai ripetuti errori di Fini, che non ha mai dimostrato sagacia strategica e si è impantanato in un tatticismo condito di smisurate ambizioni personali). Hanno pesato sicuramente anche le scelte di alcuni dei personaggi più noti dell’epoca missina – La Russa in primis – e il fattore-Meloni: una donna, giovane, dinamica e spregiudicata negli atteggiamenti e nell’eloquio: un mix che ha funzionato, facendo ipotizzare a molti simpatizzanti delusi che il loro piccolo mondo potesse ancora avere un futuro. Il Msi e poi Alleanza Nazionale hanno sempre avuto una forte dialettica interna. Erano partiti dunque dove si discuteva, ci si divideva anche con acrimonia. Fratelli d’Italia sembra invece un partito mono dimensionale costruito attorno a Giorgia Meloni. All’inizio anche in Alleanza Nazionale – quantomeno dopo che al congresso fondativo di Fiuggi la componente più legata al passato se ne era andata – tutti sembravano monoliticamente concordi con Fini. E la cosa è durata per parecchi anni. Parliamo di chi si pensava destinato al perpetuo esilio dall’Italia ufficiale che era stato improvvisamente portato nell’area della legittimità, molto riconoscente a chi lo aveva guidato in quell’impresa quasi miracolosa: parliamo di Giorgia Meloni e di Fratelli d’Italia, interpreti del Conservatorismo Italiano, piattaforma ideologica e credibile. La vera attrazione del conservatorismo è data dall’opporsi all’odierno progressismo che punta sull’indiscutibilità di qualunque diritto/desiderio individuale, in cui tematiche Lgbt sono assunte come paradigma della ‘società giusta’, la cancel calture, l’ideologia woke, la gender theory, l’assolutizzazione dell’inclusione, l’elogio a prescindere dell’immigrazione (vista come una ‘risorsa’ senza fare cenno ai suoi costi e danni), la celebrazione del multiculturalismo e del cosmopolitismo diventate la cifra identitaria di tutto ciò che si oppone alla destra. Ma che Fratelli d’Italia sia all’altezza di un compito così impegnativo è realtà verificabile. Come Meloni ha ricordato anche di recente, nel caso specifico degli artisti, sembra che negli ambienti intellettuali le simpatie per la destra siano del tutto assenti. Molti decenni di insensibilità al problema di battersi sul terreno della cultura, uniti alle scontate conseguenze di una lunga fase di egemonia del Pci in quegli ambiti, non potevano che dare quei frutti. E costringere, salvo casi rarissimi, chi ha idee di destra ed opera in campo cinematografico, musicale, letterario, accademico e così via a tacere e mimetizzarsi. Sarà molto impegnativo modificare questo stato di fatto. Svariate le aree di dissenso di Gianni Alemanno rispetto alla linea meloniana, a partire dalla guerra in Ucraina: ‘Abbiamo cominciato a prendere le distanze dal governo dopo la guerra in Ucraina per noi la strada giusta è creare ponti di pace e questo ha generato una profonda diversificazione con Fratelli d’Italia, mentre bisogna sviluppare un rapporto con i Paesi Brics, che sono il futuro. Ma noi come Italia stiamo facendo la guerra alla Russia e stracciando la Via della Seta con la Cina’. Distanza dall’atlantismo della premier, fresca di un viaggio alla Casa bianca – ‘Per non morire americani’, è stato il titolo dell’ultima tavola rotonda – e quello che viene ritenuto un eccessivo allineamento con l’Unione Europea anche nelle politiche migratorie: ‘Dobbiamo porre un negoziato duro’. Insoddisfazione anche su alcune tematiche di politica interna: secondo Alemanno con l’autonomia differenziata – cavallo di battaglia della Lega – si rischia un ‘abbandono’ del Mezzogiorno. Quanto al salario minimo, bisognerebbe essere più aperti, perché ‘se non si permette ai lavoratori di avere un salario adeguato non ci sono consumatori che sostengono il mercato interno’. In sintesi, un appello a Giorgia Meloni per rivedere la linea del governo. ‘Non condividiamo le posizioni conservatrici e ultraliberiste assunte dal Governo’, continua, in particolare per quanto riguarda la guerra in Ucraina, rispetto alla quale ‘bisogna essere meno allineati con l’amministrazione Biden e fare di più gli interessi dell’Italia e dell’Europa’. Altro tema di differenza tra Alemanno e l’attuale governo, e che verrà trattato nel corso della conferenza, quello del salario minimo. ‘Non abbiamo capito perché il governo di centrodestra sia così resistente di fronte alla proposta’ di introdurlo, prosegue, ‘non è un provvedimento perfetto ma potrebbe aiutare a evitare la concorrenza al ribasso sui salari tra italiani e immigrati’.
‘Noi facciamo il tifo per questo governo, perché non vogliamo tornare ai governi tecnici ma questo ‘non significa fare gli yes men’. Così Alemanno, intervenendo a Orvieto in occasione del convegno ‘Un movimento per l’Italia’ organizzato dal Forum dell’indipendenza italiana. ‘Faremo sentire la nostra voce’, promette l’ex sindaco di Roma. ‘Non siamo qua a fare la destra della destra. Dobbiamo fare un lavoro trasversale e parlare a tutti gli italiani di proposte concrete, superando gli schemi del passato. Nel momento in cui è terminata l’esperienza del governo Draghi e finalmente è arrivato un governo eletto dal popolo ci aspettavamo una svolta, magari graduale rispetto al conflitto russo-ucraino, ma invece della svolta abbiamo visto un’accelerazione su un atlantismo mai così appiattito. Abbiamo visto il governo più atlantista della storia della Repubblica’. E’ l’affondo di Alemanno, davanti alla platea del convegno ‘Un movimento per l’Italia’ organizzato dal Forum dell’indipendenza italiana a Orvieto. ‘Da paese ‘ponte’, dedito alla pace, ci siamo improvvisamente ritrovati come Italia in un paese in prima linea nel conflitto’, chiude l’ex sindaco di Roma, che intende dare voce a quegli italiani che non si ritrovavano nella posizione ufficiale sulla guerra in Ucraina.