I 90 anni di Luciano De Crescenzo

“Signore e signori buonasera, incominciamo con un chiarimento: al tempo di Socrate non c’era la televisione. E allora voi vi chiederete: cosa facevano i Greci in quel tempo senza la tv? Semplice, ascoltavano i miti”. Negli anni ’90 Luciano De Crescenzo, con quella barba bianca ben curata e quell’accentuata cadenza napoletana, entrava nelle case degli italiani in punta di piedi, disquisendo di filosofi greci e soprattutto di miti: i miti degli dei, degli eroi, dell’amore. A distinguerlo quel tono non accademico, contrassegnato dalla naturalezza dei gesti, dalla semplicità degli esempi, dalla leggerezza del racconto che consentiva tutti, e in maniera diretta, di conoscere, di apprendere, di sapere. Sull’onda del successo di “Zeus-Le gesta degli dei e degli eroi”, trasmissione che andava in onda sulle reti Rai, fu persino lanciato in edicola un cofanetto con le videocassette della trasmissione. E fu un successo. L’intuizione di portare il mito sul piccolo schermo fu un colpo di genio, d’altronde quando si parla di De Crescenzo non si può che riferirsi ad una mente eccelsa e creativa: un uomo di profonda cultura ma dal piglio appunto lieve. “Più che un filosofo mi definisco un simpatizzante”, dice ancora oggi che il tempo (sulla cui relatività girò quel capolavoro di 32 dicembre), sentenzia per lui il raggiungimento del traguardo dei 90 anni. Oggi la sua Napoli lo celebrerà. La Napoli che lo vide nascere nel quartiere San Ferdinando il 18 agosto del 1928; la Napoli che ha raccontato magnificamente in una trentina di libri che ha venduto in tutto il mondo; quella Napoli a cui ha dedicato film divenuti cult.

“In questo mondo del progresso, in questo mondo pieno di missili e di bombe atomiche, io penso che Napoli sia ancora l’ultima speranza che ha l’umanità per sopravvivere”, scrisse. Ha raccontato la cultura partenopea attraverso uno sguardo rivolto ai rioni popolari, ai suoi atteggiamenti scaramantici, agli espedienti di chi tenta con difficoltà di non mettere insieme il pranzo con la cena. Ha vivisezionato il modus operandi del napoletano comune, con i suoi vizi e le sue virtù, senza mai condannarlo. Imprescindibile per lui, che si definisce un “ateo cristiano”, l’attenzione riservata ai simboli religiosi. E a tutta quell’iconografia tipica partenopea, che caratterizza (a volte condizionandola) le esistenze, fatta di sogni da tradurre in numeri da giocare al lotto e botti da sparare a Capodanno. Prima di diventare filosofo, scrittore, regista, divulgatore storico, De Crescenzo (figlio di un fabbricatore di guanti di pelle) praticò per tanto tempo la professione di ingegnere, lavorando per l’Ibm. Un posto da dirigente che abbandonò alla metà degli anni ’70, incoraggiato dall’amico Maurizio Costanzo, da molti considerato una sorta di padrino, testimonial di una delle sue più grandi opere letterarie: “Così parlò Bellavista”. Un libro che negli anni ha superato le 600 mila copie vendute, tradotto in numerose lingue, divenuto un caso letterario persino in Giappone. Le successive opere ne hanno bissato il successo, confermando il suo talento. Più di 18 milioni di copie per una trentina di titoli. Un popolarità non solo italiana, ma addirittura internazionale.

L’incontro con Arbore rappresentò la sua svolta cinematografica: l’amico Renzo lo volle tra i protagonisti del suo “Il pap’occhio”. Il passo che lo portò da davanti a dietro la macchina da presa fu molto breve, e per il suo debutto da regista non poté che scegliere la trasposizione filmica di “Così parlo Bellavista”. Ma è in “32 dicembre” che tocca l’apice della sua arte: nell’episodio di Enzo Cannavale alla spasmodica ricerca delle 100 mila lire per comprarsi i botti di Capodanno, in un pellegrinaggio a volte umiliante (come nella scena a casa del fratello), si manifesta la sua lucida analisi di Napoli e delle sue allegorie. Oggi che ha 90 anni, Luciano De Crescenzo, nella sua casa romana dove domani gli amici più stretti lo festeggeranno, continua a scrivere, e lo fa senza mai abbandonare il suo vecchio e fedele Ibm. L’ultima opera arrivata in libreria è la sua biografia, nel cui titolo, “Sono stato fortunato”, è racchiuso il bilancio della sua vita. Quella vita che per De Crescenzo avrebbe bisogno di piccoli accorgimenti: “Molti studiano per allungarla, mentre secondo me bisognerebbe allargarla”.

 

 

 

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