Guido Crosetto, cofondatore di FdI: ‘Io ministro? Meloni sa cosa fare, è la sfida della vita’

Ha vinto Giorgia Meloni, che grazie al formidabile traino di Fratelli d’Italia,  di cui cui Meloni è presidente, fondatrice, emblema, anima e corpo,  ha trascinato la coalizione di centrodestra al 44%. Una percentuale che garantisce di governare in modo saldo e sicuro, pur senza la maggioranza necessaria per portare a casa in autonomia le riforme costituzionali. Dentro questa vittoria ci sono due fatti destinati a fare la storia. Il primo: una forza di destra, con un radicamento che affonda nel Movimento sociale italiano, diventa il primo partito d’Italia e il primo a guidare la futura coalizione di governo, conquistando un assoluto primato non solo italiano, ma europeo.

Questo aspetto pone il nostro Paese di fronte a una necessaria, a questo punto doverosa, resa dei conti finale con il proprio passato, mai del tutto rimarginato, mai del tutto consegnato agli archivi pacificati del Novecento. Il secondo fatto storico: una donna si prepara a diventare per la prima volta premier del nostro Paese, rompendo un tabù di genere che non ha precedenti, che richiede attenzione e che reclama soddisfazione collettiva, al di là di come la si pensi, al di là del colore e dell’appartenenza politica di ciascuno di noi. È la fine di un’epoca, il raggiungimento di un traguardo, ed è un importantissimo simbolo di cui questo Paese aveva, ha, bisogno.

Guido Crosetto ha passato l’estate  nei vari studi tv  e  tutti si aspettano entri nel prossimo governo Meloni. Aspettative che lui ‘raffredda’:  ‘Ciò che occorre fare adesso è dettato più dai tempi che viviamo che dalla volontà: crisi, costo dell’energia e del gas, inflazione, stanno uccidendo parte del tessuto economico e sociale. Questo è il tema principale. Giorgia Meloni sceglierà le persone migliori cui affidare pezzi di responsabilità del governo. Se pensa a donne, saranno donne. Ma certamente non farà squadre con un obiettivo prefissato di quote di genere!. Tempi drammatici richiedono persone straordinarie. Nessuno intraprende una traversata durante la tempesta, a bordo di una nave con un equipaggio scadente e messo insieme a caso. Meloni ha la consapevolezza piena delle sfide e delle difficoltà. E sa benissimo che, se sbaglierà, non le sarà concessa una seconda occasione: è la sfida della sua vita. ‘Migliori’ vuol dire che conoscono le materie, hanno voglia di lavorare, né timore di fare battaglie di meritocrazia o di scontrarsi con l’esistente, se va cambiato. Servono persone con la consapevolezza che vanno ricostruite le condizioni perché l’Italia torni un luogo fertile a chi vuol creare ricchezza, lavoro, innovazione. Se qualcuno pensa che l’esecutivo possa essere composto col manuale Cencelli, “pagando“ l’appoggio in Parlamento, significa che gioca contro l’Italia. E troverei disdicevole iniziare con killer alle spalle. Sono invece certo che tutta la coalizione vuole giocare al meglio la partita. Ogni partito dovrebbe caricarsi la responsabilità di indicare le migliori persone per ciascun dicastero. Poi si pescherà in quelle rose di nomi, nomi che potranno essere politici o tecnici. Sulla manovra economica occorrerà fare, necessariamente, un dialogo col governo Draghi. Non per scelta politica, ma per obbligo tecnico: il 15 ottobre va spedito il bilancio in Commissione. Il governo è tentato di non farlo per lasciare la scelta, che è più politica che tecnica, al nuovo. Ma significa comprimere in modo eccessivo i tempi perché slitterebbero di oltre 30 giorni. Sarebbe bene fare un confronto, e subito, perché il nuovo esecutivo non sarà pronto, probabilmente, prima di un mese da ora. Dunque, bisogna pensare a una sorta di cammino parallelo per prepararsi. Ma, ripeto, è un parere tecnico’.

I partiti usciti sconfitti dalle Politiche del 25 settembre sono due: il Pd, inchiodato a un ben poco lusinghiero 19%, e la Lega, che non arriva al 9% e perde voti soprattutto nel suo bacino d’elezione, il Nord.  Matteo Salvini non ha mostrato cedimenti, sebbene i malpancisti in casa Lega siano non pochi e tutt’altro che quieti. Enrico Letta ha invece annunciato il suo sostanziale, previsto e prevedibile, ritiro. Coi risultati ottenuti è pur vero che Letta non aveva alternative, dentro un partito dilaniato da correnti e rivalità interne forse insanabili. Il Pd, in quindici anni di vita, ha cambiato ben sette segretari, sostanzialmente uno ogni due anni. Così forse quando i Dem parlano di visione, di costruzione, di linea politica, dovrebbero ricordarsi che rottamare, eleggere, riesumare, affossare i leader come fossero allenatori di calcio non fa bene alla causa. Né del partito, né delle sue speranze future.

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