La protesta dei senatori del Movimento 5 Stelle durante le dichiarazioni di voto nell'Aula di Palazzo Madama, Roma, 14 dicembre 2016, ANSA/RICCARDO ANTIMIANI

Governo italiano ‘ostaggio’ di Matteo Salvini

Da oggi Giuseppe Conte è un premier con un gigantesco bersaglio disegnato sulla schiena. Il risultato uscito dalle urne, infatti, ribalta completamente i rapporti di forza tra le due leadership che guidano l’autoproclamato ‘governo del cambiamento’. La Lega di Matteo Salvini stravince la tornata elettorale, il M5s di Luigi Di Maio è invece il grande sconfitto,   scavalcato dal Pd  destinati a finire sotto la soglia  del 20%. Uno scenario che rischia  di far esplodere tutte quelle contraddizioni e conflittualità che hanno caratterizzato gli ultimi mesi dell’esecutivo. Ne è ben consapevo il presidente del Consiglio, che ieri sera non ha avuto esitazioni. “Se Luigi non lavorerà a trovare dei compromessi con Salvini, se non saprà adeguarsi ai nuovi equilibri, non farà altro – confidava in privato ai suoi ieri notte – che dargli il pretesto per rompere. Io, per quanto mi riguarda, non ho alcuna intenzione di farmi massacrare”.

È chiaro, infatti, che da oggi il governo diventa nei fatti a guida Salvini. E Di Maio non potrà più obiettare che il M5s ha la maggioranza in Consiglio dei ministri, dato ormai solo numerico ma di nessun peso politico. La Lega, infatti, presenterà subito il conto ai Cinque stelle sui tre dossier chiave per il Carroccio: flat tax, autonomia e, soprattutto, Tav. Tema su cui nelle prossime settimane Palazzo Chigi dovrà pronunciare una parola definitiva e su cui Salvini – forte anche della vittoria in Piemonte del candidato del centrodestra Alberto Cirio – non farà alcuno sconto.

 

Salvini, sfondando il muro del 30% è il solo vincitore di queste elezioni. Allo stesso tempo, però, da oggi perdono di forza le sue obiezioni e le sue prudenze davanti alle perplessità di molti big del Carroccio che da mesi gli chiedono di mettere fine all’alleanza con il M5s e tornare alle urne.

 

Non è un caso che ieri a via Bellerio qualcuno lo invitasse a “non dimenticare che oggi le leadership sono evanescenti e durano non più di qualche anno”. “Ricordati Matteo, Renzi è evaporato in due anni”. Insomma, o si portano a casa subito flat tax, autonomia e Tav oppure è meglio tornare subito alle urne e dar vita ad una maggioranza di centrodestra.

Per quanto siano andati male, infatti, i partiti filoeuropeisti continueranno a dare le carte a Bruxelles e non faranno sconti all’esecutivo Conte. Caricarsi una manovra da oltre 30 miliardi, dunque, potrebbe essere rischioso, soprattutto con un governo che naviga a vista. Mentre altra cosa – ed è lo scenario a cui in Lega guarda chi teorizza un ritorno nel centrodestra – è affrontare una legge di bilancio così difficile all’inizio di una legislatura e con una prospettiva di cinque anni davanti. In quel caso, ovviamente, con Salvini che siederebbe a Palazzo Chigi.

 Il nome di Salvini – capolista in tutta Italia – ha portato la Lega vicina ai 10 milioni di voti è stato scritto sulla scheda elettorale 2 milioni e 205mila volte. È lui il candidato più votato d’Italia, nessuno si avvicina al suo risultato. Neanche il leader di Forza Italia Silvio Berlusconi, mister preferenze in tante altre tornate elettorali. Anzi, per poter fare un paragone, il solo Salvini ha preso quasi gli stessi voti di tutto il partito dell’ex Cavaliere, scelto da 2 milioni e 343mila elettori.

Nella circoscrizione del Nord Ovest e del Nord Est, nessuno riesce ad avvicinarsi al leader del Carroccio, che ottiene 684mila e 544mila voti. Nemmeno i due pezzi da novanta del Partito Democratico, Giuliano Pisapia e Carlo Calenda, secondi per preferenze con 261mila e 272mila voti.

Situazione simile nel centro Italia. Nella Lega, dietro alle 391mila preferenze di Salvini però ci sono le 43.180 dell’attivissima sindaca di Cascina Susanna Ceccardi e dell’economista Antonio Maria Rinaldi. Nel Pd la più votata è stata Simona Bonafè (123.603 preferenze), seguita dal vicepresidente dell’Europarlamento uscente David Sassoli (90.111). Appena quattromila voti in più di Giorgia Meloni, che nelle regioni centrali della penisola raggiunge il suo risultato migliore (anche lei è capolista in tutta Italia) con 86.143 voti. Quasi il doppio del candidato forte di Forza Italia, Antonio Tajani, che si ferma a 48.616 preferenze.

 

 

 

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