Giulio Regeni, si indaga su 30 contatti. Il lavoro è la ‘chiave’ del delitto

Una trentina tra amici, colleghi e professori universitari. Sono questi i contatti via Skype e Facebook con i quali Giulio Regeni aveva rapporti quotidiani dal Cairo e sui quali ora si concentra l’attenzione degli inquirenti italiani per ricostruire la ‘rete’ delle relazioni del ricercatore friulano. E, soprattutto, per capire chi in quella rete potrebbe averlo portato, indirettamente, alla morte. Perché si è raggiunta la ragionevole certezza che Regeni sia stato ucciso per le informazioni raccolte nel suo lavoro. Informazioni che qualcun altro potrebbe aver commissionato per altri scopi o utilizzato per passarle ad altri soggetti. Giulio, hanno accertato gli investigatori grazie all’analisi del computer consegnato dai genitori, teneva conversazioni quotidiane con chat in cui il ragazzo scambiava opinioni con colleghi e professori, inviava i report sui suoi incontri con esponenti dei sindacati indipendenti e dei venditori ambulanti, manteneva la corrispondenza con chi seguiva i suoi studi. Gli inquirenti, alle prese con i continui depistaggi, come quello del supertestimone che si è presentato in ambasciata dicendo che Giulio sarebbe stato preso da due poliziotti attorno alle 17.30, salvo poi esser smentito sia dalla telefonata di Gervasio sia dalla chat con la fidanzata del giovane, vogliono dunque capire se questa mole di informazioni, in qualche modo uscita dal circuito accademico e finita nelle mani di qualcuno, possa aver portato Giulio ad entrare nel mirino di chi, poi, lo ha ridotto nel modo in cui è stato trovato la sera del 3 febbraio. ‘Noi non c’entriamo nulla con la morte e la scomparsa di Regeni’, ha scritto oggi l’Egitto in una nota ufficiale inviata alla nostra intelligence per ribadire l’estraneità dei servizi segreti del Cairo nella vicenda. Una nota dove però non c’è alcun elemento che confermi o escluda la possibilità che il nome di Regeni fosse conosciuto dagli 007 egiziani. E d’altronde, lo spiega bene il professore Khaled Fahmy dell’American University al Cairo, quello del lavoro, dei sindacati e degli attivisti è il topic più pericoloso di cui occuparsi al Cairo, un tema su cui le agenzie di sicurezza sono molto sensibili. Su questi stessi temi, tra l’altro, si è centrata l’audizione da parte del pm Sergio Colaiocco della professoressa Maha Abdelrahman, tutor di Regeni alla Cambridge University assieme alla collega Anne Alexander. La docente ha spiegato, tra l’ altro, che la ricerca di Giulio era diventata ‘partecipata’, vale a dire prevedeva una partecipazione attiva alla vita degli organismi di cui doveva occuparsi. Se questo possa aver influito sul destino di Giulio, però, la professoressa non ha saputo dirlo, sostenendo che avevano avuto solo contatti via mail, l’ultimo tra la fine di dicembre e l’inizio di gennaio, e che si sarebbero sentiti nuovamente a marzo. Quel che è certo è che l’attuale campo di studio di Maha Abdelrahman è rappresentato dalle primavere arabe e dalla storia delle lotte sociali in Medio Oriente in quest’inizio di secolo. Temi che potrebbero aver destato l’interesse degli apparati, anche in considerazione di quel che la professoressa scriveva un anno fa proprio sull’Egitto di Sisi. Un regime che, diceva, fondava la sua unica legittimità sulla promessa di ripristinare la sicurezza e che arruolava grandi settori della popolazione affinché diventassero soggetti attivi nella sorveglianza e nella segnalazione di quel che accade nella società. Ma Adbelrahman, in quell’ articolo, parlava anche dei ‘Baltagiya’, letteralmente i banditi, squadroni utilizzati per il lavoro sporco e non ufficiale nei confronti di dissidenti, oppositori e chiunque possa dar fastidio. Un profilo, è l’opinione degli inquirenti, molto simile a chi potrebbe aver sequestrato e ucciso Regeni. sindacale. Dall’Egitto, intanto, continuano ad arrivare secche smentite ad ogni ipotesi avanzata dai media occidentali, l’ultima quella del ‘New york Times’ che, citando 3 diverse fonti di sicurezza, sosteneva che Regeni fosse stato preso dalla polizia. Informazioni completamente erronee, hanno scritto i media governativi, ribadite poi dall’ambasciatore in Italia Amr Helmy. Che ha anche aggiunto un messaggio al nostro paese: ‘Qualsiasi speculazione che compare sui media su questa vicenda, potrebbe influire sulle indagini’. Significa che il team italiano che già si muove con molta fatica al Cairo, rischia di avere ancora meno informazioni rispetto al poco che al momento riesce ad ottenere.

 

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