È andata in scena venerdì 23 maggio al Teatro Trastevere la prima dello spettacolo “Giovanni e Paolo”, nel giorno simbolico che segna il trentatreesimo anniversario della strage di Capaci. Un’opera scritta da Alessandra Camassa, magistrato e attuale presidente del Tribunale di Trapani, con prologo di Francesco Sotgiu, per la regia di Luca Milesi, che commemora con commozione e lucidità civile le vite di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, due pilastri della lotta alla mafia.
La Compagnia ENTER ha saputo costruire una narrazione teatrale potente e intima, capace di attraversare la storia d’Italia con uno sguardo umano, lontano dalla retorica e vicino alle emozioni più autentiche. In scena gli attori Luca Milesi, Alberto Albertino, Paolino Blandano, Maria Concetta Liotta e lo stesso Francesco Sotgiu hanno dato voce e corpo a una memoria che ancora brucia.
Lo spettacolo si articola in due tempi distinti. Nella prima parte, due narratori – un uomo e una donna, vestiti di nero e accompagnati da un semplice leggio – raccontano a flash la vita privata e familiare dei due giudici sin dalla loro infanzia. Emergono così dettagli poco noti ma significativi: i genitori di Paolo Borsellino, farmacisti generosi durante la guerra, che spesso non si facevano pagare; le vicende delle famiglie di entrambi, sfollate da Palermo durante il secondo conflitto mondiale – i Falcone a Sferracavallo, poi a Corleone – e il comune scetticismo delle famiglie verso la Liberazione.
Il ritratto del giovane Giovanni Falcone spicca per forza: volitivo, generoso, temprato già da bambino. Un carattere destinato a diventare quello di un magistrato che interrogava i mafiosi partendo da una domanda semplice e umana: “Cosa facevi da bambino?” – un modo per ricordare loro cosa avevano perduto scegliendo la criminalità.
La seconda parte porta in scena un dialogo immaginario nell’aldilà tra Giovanni e Paolo – interpretati con grande intensità – che si ritrovano nella simbolica Casa degli Uomini Onesti. Parlano della lotta alla mafia, del loro lavoro, delle ferite e delle conquiste. Riconoscono gli strumenti giuridici nati dalle loro intuizioni – come la legge sui pentiti, le procure antimafia e la visione della mafia come fenomeno associativo – e osservano con consapevolezza i progressi, ma anche gli insuccessi, della società italiana dopo il loro sacrificio.
Commovente il momento in cui si ricorda la figura del nonno materno di Falcone, l’unico della sua generazione a non togliersi il cappello davanti ai mafiosi. È l’icona di una Sicilia che lentamente ha imparato a non chinare la testa, anche grazie al sangue versato da uomini come Giovanni e Paolo.
Lo spettacolo si chiude con le note del brano “I cento passi” dei Modena City Ramblers, una scelta musicale forte e simbolica che ha generato un lunghissimo e commosso applauso da parte del pubblico in sala.
“Giovanni e Paolo” non è solo teatro civile, è un atto d’amore per la verità. Una preghiera laica che si fa denuncia, un invito a non dimenticare ma anche a capire, a scegliere ogni giorno da che parte stare. Un’opera che non commemora soltanto: interroga, provoca, risveglia.
Perché, come ci ricordano sul palco gli attori della Compagnia ENTER, “non basta ricordare Falcone e Borsellino. Bisogna somigliare a loro”.
Andrea Pisante