Giorgia Meloni e la scommessa sul presidenzialismo

Per Giorgia Meloni  una proposta di legge sul presidenzialismo è una priorità. Adesso, nel 2023, perchè le riforme importanti si fanno il primo anno. La premier andrà avanti sino alle estreme conseguenze sull’idea di un presidente della Repubblica eletto dai cittadini? Oppure cercherà una mediazione sulla elezione (o indicazione) diretta del capo del governo?

La presidente del Consiglio, che sul presidenzialismo puro – e nemmeno sul semi – non disporrà mai dei due terzi e che dunque sulla riforma approvata a maggioranza assoluta si dovrà pronunciare il popolo con il referendum costituzionale, con la certezza di spaccare il Paese su una materia che investe l’intera impalcatura istituzionale, ivi compresi i poteri del presidente della Repubblica, che nel discorso di Capodanno ha molto valorizzato la nostra Carta, la ‘bussola’. .

Stando ai dirigenti di Fratelli d’Italia la via del referendum sarebbe auspicabile anche se, per ipotesi, in Parlamento la riforma ottenesse i due terzi, quindi in ogni caso sarebbe il mitico “popolo” a suggellare la volontà della presidente,  che detta dalla leader della destra ‘fa tremare i polsi’.

Meloni, che prima delle elezioni annunciò che avrebbe fatto la riforma presidenziale anche da sola, nella conferenza stampa di fine anno non si è espressa allo stesso modo riprendendo la proposta di una Bicamerale di cui si ipotizza la presidenza di Marcello Pera, ma che «non essendo io una sprovveduta» sarebbe la prima a gettare tutto in mare se sentisse odore di dilazione e ad andare in Aula con il suo testo, prendere o lasciare.

Il rischio sarebbe enorme: quello di un referendum su di lei, sul suo governo.

C’è però un’altra strada. Che dietro le polemiche di rito potrebbe incontrare i favori dell’opposizione, e forse anche di Silvio Berlusconi, certamente del Terzo Polo, probabilmente del Partito democratico: dipenderà anche da quale sarà la linea generale del/della nuovo/a leader.  Giuseppe Conte si schiererà contro qualsiasi cosa.

Questa strada alternativa sarebbe quella di una Bicamerale in grado di partorire l’elezione diretta del premier, o una formula comunque allusiva al premierato forte, fornendo al capo del governo per esempio la possibilità di sciogliere il Parlamento, una riforma che garantirebbe la stabilità grazie alla sfiducia costruttiva e quindi l’impossibilità di ribaltoni e trasformismi: questa potrebbe essere una mediazione tra l’ansia del Presidente eletto dal popolo della destra e la richiesta di Terzo Polo e forse Partito democratico di un rafforzamento del governo e insieme del Parlamento.

Certo, in ogni caso si porrebbe la questione di non poco conto relativa a Sergio Mattarella, questione super-delicata dato che in caso di approvazione della riforma egli dovrebbe lasciare il Quirinale anzitempo: ecco che ancora una volta il referendum si caricherebbe di un ulteriore significato, la permanenza o meno dell’attuale Capo dello Stato, il più amato dagli italiani.

Al di là di scenari futuribili e delle soluzioni tecniche, il problema politico sta tutto nella testa di Giorgia Meloni, se cioè ella ritenga di avere il Paese in mano oppure no. Nel videomessaggio dell’altro giorno, quando ha detto agli italiani: «Rimettiamo in piedi l’Italia, credeteci con me», usando un pronome che suona già molto presidenziale…

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